La notizia dello speronamento, da parte di una nave da guerra tunisina, di una barca di legno carica di 70/80 persone ha riproposto il problema dello sbarco dei profughi. Al momento si parla di 8 morti, ma ci sono oltre 40 persone disperse, quindi sembra che il conto delle vittime sia destinato a salire. Chi pensava di averlo risolto con i trattati con la Libia è rimasto deluso.
La forte contrazione delle partenze dalla Libia ha ripristinato la rotta tunisina che, nel solo mese di settembre, ha visto il transito di oltre 1.400 persone, mentre in tutto il resto dell’anno erano state 1.357. C’entrano certo le delusioni della primavera araba e, forse, ha la sua importanza il fatto che un recente indulto abbia aperto le carceri a migliaia di detenuti, ma c’è chi sospetta che i trafficanti libici abbiano trasferito le loro basi in Tunisia. Anche perché le cifre citate non tengono conto degli “sbarchi fantasma”, quelli di cui non si ha notizia.
È preoccupato l’arcivescovo di Tunisi, mons. Ilario Antoniazzi: “Stiamo tornando al tempo di Lampedusa – dichiara al Sir – e delle prime carrette del mare: una volta arrivavano in Tunisia per andare in Libia, ora ricominciano a partire da qui”. “Gli accordi con la Libia son forse una bella cosa per l’Italia, ma non per i migranti che sono lì. I migranti in Libia sono aumentati e lì hanno scoperto anche campi profughi clandestini, dove non vengono trattati come persone… Scappano dalla Libia e vengono in Tunisia perché sanno che con gli accordi attuali è difficile andare in Italia”.
Si è tappata una falla e se ne è aperta un’altra. D’altra parte la Tunisia è un Paese in piena crisi. Non è un caso che sia il Paese con il più alto numero di foreign fighters in Siria. Gli stipendi sono ai minimi storici, l’agricoltura è misera, il turismo messo in crisi da tre attentati terroristici, i pescatori lamentano guadagni insufficienti. Per questo il numero dei giovani tunisini che tenta o ha tentato di fuggire è aumentato: secondo una radio locale il 54% dei giovani vuole emigrare dal Paese. Questo contesto viene aggravato da chi fugge dalla Libia per tentare l’avventura europea.
Tra poco però saranno pochi quelli che dai Paesi della fame e della guerra andranno in Libia. Il tam tam delle notizie si diffonde rapidamente. Sarà difficile contrastare la nuova ondata. Non si aiutano le persone a “casa loro” se le si rinchiude in campi profughi in cui non si ha alcuna autorità e nei quali non viene garantita alcuna dignità. Chiudere le frontiere è la cosa più semplice, ma non garantisce la sicurezza che queste siano veramente impenetrabili. I trafficanti di esseri umani continueranno nel loro triste commercio e troveranno, nella loro diabolicità, nuovi sistemi per realizzare i loro scopi. Al momento sarebbe necessaria una grande campagna pubblicitaria a rovescio, spiegare che l’Europa non è quel paradiso di cui si parla. E impegnarsi sul serio a creare sviluppo in terre talvolta ricche, ma spesso sfruttate.
Giovanni Barbieri