
Nato a Fivizzano nel 1899 combatte nella prima guerra mondiale. Dotato di abilità pittorica si iscrive all’Accademia di Brera ma viene catturato e decorato in Germania. Il suo diario di prigionia ora è un libro presentato a Pontremoli nei giorni scorsi
Dal buio di un cassetto il nipote Francesco Jacomelli ha tirato fuori il diario di prigionia di Luigi Battistini (Fivizzano 1899-1976), dotato di abilità pittorica, formato a scuole di indirizzo artistico di Torino, dove con lo zio Giuseppe sperimenta la stampa a colori, a Genova.
La guerra lo obbliga nel 1917 ad arruolarsi, è uno dei ragazzi del 99, bersagliere. Ritornato alle pratiche quotidiane, continua a specializzarsi e arricchisce moltissime chiese lunigianesi delle sue pitture di buon livello artistico. La guerra si accanisce di nuovo e all’improvviso a Milano, dove si era trasferito per lavoro e l’iscrizione all’Accademia di Brera, viene catturato e deportato in Germania.
La mia prigionia 1943-1945, edito nel 2017 con patrocinio del Comune di Fivizzano, registra con fedeltà la disperata situazione della vita nel lager. Battistini conosce ogni tipo di privazione, fame, sete, malattia, difficili convivenze, incontra aguzzini, ladri, vili ritorsioni ma anche la meraviglia di profonde e solidali amicizie, si guadagna la stima grazie al suo animo umile e generoso, può nutrirsi un po’ meglio quando si conosce che è bravo a dipingere, a fare ritratti. In una contraddizione incomprensibile dei tedeschi, sensibili alle bellezze artistiche, curatori amorevoli della natura e feroci persecutori e sterminatori “scientifici” dei loro prigionieri, le guardie e i comandanti del campo gli chiedono quadri e dipinti, eseguiti con pochi mezzi, qualche foglio e una scatola di colori, ripagati con un po’ di pane bianco, qualche patata in più, sigarette che Battistini passa ad accaniti fumatori.
L’arte e una fede cristiana senza dubbi sono state le forze salvifiche, ma anche il dottor Mantovani che lo esenta con ricovero ospedaliero da lavori che lo avrebbero distrutto date le sue precarie condizioni di salute. Liberato nel luglio 1945 riprende la sua professione di pittore itinerante, il pronipote Andrea nella prefazione al libro dice di capire “perché l’angoscia si era sposata all’arte dello zio” dopo l’esperienza della prigionia.
Nel 1962 Battistini si sposta a Pontremoli, insegna arte sacra al Seminario, per dieci anni è redattore del Corriere Apuano, ha ruoli nelle Acli e Azione Cattolica. La sua storia ha trovato risalto in occasione della presentazione del suo Diario, prima a Fivizzano e il 30 settembre a Pontremoli. Sono intervenuti mons. Silvano Lecchini con un profilo biografico ed esistenziale, il nipote Francesco per dire l’impegno affettuoso con cui ha curato trascrizione del manoscritto e stampa, Massimo Castoldi della Fondazione “Memoria della Deportazione”, Francesco Leonardi addetto culturale a Fivizzano che ha evidenziato un asse con Pontremoli nel segno del libro, Giuseppe Benelli che, come nella prefazione del libro, ha tracciato un’analisi puntuale, incisiva dei giorni del male vissuti da Luigi Battistini, uomo che fa onore alla sua terra.
Le deportazioni, una tragedia ancora poco indagata
La significativa presenza a Pontremoli di Massimo Castoldi, presidente della Fondazione “Memoria della Deportazione” di Milano, alla presentazione del Diario di Luigi Battistini ha dato risalto al rilevante problema della carente analisi storiografica sul complesso evento delle deportazioni in campi di concentramento e di sterminio della seconda guerra mondiale. Intanto i numeri, su cui è indispensabile riflettere, oggi soprattutto, per non ricadere negli stessi mali assoluti del passato. Sono morte 68 milioni di persone, in Italia deportati 7.579 ebrei di cui il 90% non si salvò, circa 30mila i deportati politici, 650mila gli internati militari rientrati in pochi e di cui sappiamo pochissimo. La Giornata della Memoria si concentra quasi solo sulla Shoà. Ma bisogna richiamare tutta la situazione a partire dal 25 luglio 1943, gli Alleati già sbarcati in Sicilia, Mussolini destituito e incarcerato: è una confusione che è stata letta in modo semplificatorio, la maggioranza della popolazione vive un grande smarrimento. I fascisti convinti, dopo l’armistizio dell’8 settembre, entrano in un trasformismo incredibile, da imperiali a repubblicani dei falsi valori di Salò, c’è la “solitudine collettiva” di civili e militari che, senza riconoscersi nella tradizione antifascista attiva dal 1919, per cacciare i tedeschi si richiamano al Risorgimento. La storiografia comincia a studiare con occhio nuovo lo sfacelo politico e militare, angosciante per l’Italia, dove si scontrano partigiani con i fascisti e i nazisti, le bombe degli Alleati cadono sulle città e le infrastrutture, sfollati in gran numero cercano rifugi, il cibo è razionato e molti fanno la fame, il re e il governo Badoglio stanno riparati a Brindisi dopo l’indegno comportamento di aver lasciato gli italiani abbandonati a se stessi e l’esercito senza direttive per cui gli arresti dei soldati, i quali avevano giurato fedeltà al re, fanno scelte coraggiose accettando i tormenti e le incognite della prigionia piuttosto che arruolarsi nella RSI. Tante storie vere in memorie scritte, tenute nascoste per vari motivi e ora recuperate dai familiari e pubblicate, sono preziosa fonte per conoscere e per non dimenticare.
Maria Luisa Simoncelli