
A 5 anni dall’approvazione della legge contro l’illegalità nel nostro Paese
Sono passati cinque anni dall’approvazione della legge 190 del 2012 “per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.
È opinione diffusa che da allora siano stati compiuti passi in avanti: lo stesso Cantone, che presiede l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), lo ha affermato pubblicamente in molte occasioni. Nonostante ciò, la piaga della corruzione resta uno dei principali problemi del nostro Paese.
All’inizio dell’anno il rapporto elaborato dall’ong Transparency Italia, basato sull’indice di corruzione percepita (Cpi), ci collocava al sessantesimo posto su 176 Stati; in Europa davanti soltanto a Grecia e Bulgaria. Come tutte le classifiche, anche questa va presa con estrema cautela perché le valutazioni degli esperti sono condizionate da vari fattori: il risultato è che ci sono Paesi che hanno una situazione più grave di quella italiana e che in quella classifica risultavano meglio posizionati di noi.
Per usare le parole di Cantone, “le indagini”, rappresentano “non soltanto l’emersione della corruzione, ma anche dell’anti-corruzione”. Un dato negativo caratterizza, però, l’Italia: rispetto ad altri Paesi, dove pure la corruzione esiste, da noi questa è presente anche a livelli molto bassi. Una conferma indiretta giunge dal primo rapporto dell’Istat sulla corruzione in Italia dal punto di vista delle famiglie, diffuso proprio nei giorni scorsi. Si tratta anche in questo caso di valutazioni soggettive ma, oltre all’autorevolezza dell’Istituto, va sottolineata l’ampiezza della rilevazione: tra ottobre 2015 e giugno 2016 sono state intervistate 43 mila persone tra i 18 e gli 80 anni.
Ne emerge che il 7,9% delle famiglie italiane (pari a 1 milione e 742 mila nuclei) “nel corso della vita sia stato coinvolto direttamente in eventi corruttivi come richieste di denaro, favori, regali o altro in cambio di servizi o agevolazioni”. Se si considerano gli ultimi tre anni o gli ultimi dodici mesi il dato è, rispettivamente, del 2,7% e dell’1,2%. Ben più alta (13,1%) è la quota di coloro che conoscono direttamente qualche persona che è incappata nelle stesse situazioni.
L’ambito più rappresentato è quello del lavoro (3,2% delle famiglie), seguito dalle cause giudiziarie (2,9%), dalle domande per benefici assistenziali (2,7%), da visite mediche e ricoveri (2,4%). Sul piano territoriale il massimo della corruzione segnalata si registra nel Lazio (17,9%), il minimo nella provincia autonoma di Trento (2%), ma nessuna regione è esente. Colpisce l’alta percentuale (85,2%) di coloro che ritengono sia stato utile aver pagato e la quota maggioritaria (51,4%) che lo rifarebbe. Mentre solo il 2,2% per cento di quanti hanno avuto richieste di corruzione ha denunciato l’episodio: i più hanno reputato inutile farlo.