È certamente azzardato, ma l’ipotesi deriva dalle ricerche archeologiche e dai recenti studi
In pochi paesi della Lunigiana si ha un così scarso senso di appartenenza come ad Aulla, dove le famiglie presenti da secoli si contano forse nel palmo di una mano e dove la secolare abitudine ad essere luogo di transito e di commerci, soggetto a passare di dominio in dominio, ha creato una mentalità che potremmo chiamare “disincantata”, se non di “superiore indifferenza”. C’è un detto popolare recente che riassume bene questa mentalità : “ad Aulla non hanno attecchito neanche la festa dell’ Unità e degli altri partiti”.
Ma le ragioni di tutto ciò possono essere rintracciate nelle vicende storiche che si sono stratificate su questo piccolo lembo di terra stretto tra Magra, Tavarone e Aulella?
È certamente azzardato, ma proporlo come ipotesi deriva dalle riflessioni suggerite dalle ricerche archeologiche e dai recenti interventi di Paolo Lapi, curatore della pubblicazione degli Statuti di Aulla e autore di una documentata conferenza sulla vita dell’abbazia, dalla sua fondazione al 1817, ma anche dalle riflessioni di Barbara Sisti su come si sia arrivati all’erezione ufficiale in parrocchia proprio nel 1817, quando il duca di Modena Francesco IV rinunciò, a favore del vescovo, alla prerogativa di designare il parroco.
Secondo le fonti storiche Aulla risulta essere un borgo fondato da Adalberto di Toscana, come egli stesso fece scrivere, già prima dell’anno 884, data di fondazione della chiesa abbaziale, ma l’archeologia ci fa sapere che tra il 535 e il 660 lì c’erano già le tracce di una possente torre, opera probabile di maestranze bizantine. Ancora molto prima si hanno i resti di una fibula del VII sec. a. C. e poi di tegoloni e marmi romani; quando Adalberto fondò il borgo attrezzato con ospedale, castello, magazzini ed una prima chiesa, ad Aulla probabilmente giunsero immigrati dal nord e, secondo gli antropologi, si spiegherebbe così la caratteristica alta statura della popolazione maschile unica nel panorama delle tombe coeve sinora scavate. Una storia complessa, originata dall’incontro tra popolazioni venute da lontano e popolazione locale e, dunque, ancora per molti aspetti da indagare.
Quello che è certo, come ha messo in rilievo lo studio di Lapi sugli Statuti, che ad Aulla ancor prima della presenza dei Malaspina che quegli Statuti concessero, la comunità aveva una sua rappresentanza amministrativa, che probabilmente si rapportava con l’abate, “signore” di Aulla.
Uomini e consoli dell’Aulla medievale saranno chiamati a fare da arbitri nelle contese tra Malaspina e Abate , ma anche ad assumersi l’onere della gestione dell’abbazia e dei suoi beni. Alla fine del XII secolo, Lapi ricorda che “I Consoli avrebbero riscosso, insieme al gastaldo abbaziale, i redditi dello stesso Monastero come pure avrebbero fatto tutte le altre collette. Dieci lire imperiali del ricavato sarebbero andate annualmente al vescovo Pipino, un’altra quota al mantenimento dei monaci, dei preti e di tutti gli altri servientes la chiesa, e una terza parte alla conservazione e al restauro della chiesa e del monastero, sentito, in questo caso, il parere episcopale. I Consoli avrebbero dovuto prestare e garantire l’albergaria al Vescovo lunense, ai suoi emissari e ai legati del Papa e dell’Imperatore, anche perché molte volte, come si apprende da altri atti di poco posteriori, l’Abbazia non era in grado di garantire ospitalità a tutto il seguito. Nello stesso atto, infatti, si precisava che il Vescovo aveva mantenuto per sé omne dominium di una casa dove, con il consenso dei Consoli, avrebbe potuto inviarvi segretari e magazzinieri”.
Controversie e dissidi tra vescovo e abati, tra vescovo e abati commendatari laici che avevano il compito di amministrare i beni abbaziali e nominare i parroci, proseguiranno, per alcuni aspetti, fino agli inizi del 1800 quando il marchese Alfonso Malaspina si opponeva alla determinazione del vescovo “di privarlo del suo Parrocchiale Beneficio, di cui si trova investito fino dall’anno 1769 a questa parte con bolla canonica del già Vescovo Lomellini”.
Al centro delle ambizioni territoriali di vescovo e Malaspina, Aulla, nel 1206, aveva subito gli esiti di un nuovo conflitto tra il vescovo Gualtiero e i Malaspina, quando i soldati del vescovo espugnarono Aulla. Nel 1220 sarà l’imperatore Federico II a confermare all’abate il potere territoriale su Aulla, assicurando, tra l’altro, i diritti sulle acque, sulla pesca, su terre coltivate e incolti, caccia, albergarie, molini, mercato. Quello degli inizi del 1200 dovette essere un periodo, per Aulla e l’abbazia, di prosperità: l’abate Venanzio con il ricavato della vendita al comune di Piacenza dei poderi che l’abbazia possedeva ad Albareto non solo acquistò il diritto di pedaggio sull’Aulella dal marchese di Massa, ma rinnovò il chiostro, con il cantiere e le opere d’arte dello scultore Oberto Ferlendi, riconosciute da Maria Pia Branchi dell’università di Parma, come ci ricorda il pontremolese Bernardino Campi : “Anno di Cristo 1224, essendo Abbate di S. Caprasio dell’Aulla Venantio fu fabricato il claustro di quel monastero; e dall’imperatore Federico fu al medesimo concesso un ampio Privileggio a favore di detta Abbatia”.
Nel 1299, racconta il cronista lucchese Sercambi, “li figluoli di messer Francesco Bernabue marcheze Malaspina ucciseno lo abate Tomazo dall’Agula. E ‘l vescovo Antonio di Luni andò all’Agula e presela. E quel medezmo anno Lucca tolse l’Agula per certe ragioni che Lucha v’avea”. Pochi anni dopo, il 28 giugno 1309, per l’abbazia fu decadenza, tanto che il card. Arnaldo, legato papale (Clemente V), scrisse all’Abate di S. Bartolomeo di Linari e al can. di Luni Francesco di Panicale, raccomandando loro di prendersi cura del Monastero di Aulla e, in particolare, dell’unico monaco di nome Mercato, ridotto a vivere di carità. Nel 1517 il papa Leone X, cessata da tempo la vita monastica, confermò ad Antonio Malaspina il diritto di presentare persona idonea, anche non religiosa, quale abate e commendatario del monastero, fatto che Giulio III confermò poi nel 1554 al nuovo marchese di Aulla, il banchiere genovese Adamo Centurione, che acquistò il feudo dai Malaspina.
Intanto Aulla dal 1523 al 1525 ebbe per turbolento signore Giovanni dalle Bande Nere. Il governo aullese dei Centurione, con la costruzione della Fortezza della Brunella, fu legato all’imperatore Carlo V e alle vicende politiche della Spagna e solo nel 1664, con Cosimo Centurione l’abbazia vide la sua trasformazione con imponenti lavori che interessarono la chiesa con il rifacimento della volta, del pavimento, delle tombe ed hanno lasciato interessanti arredi barocchi. Tornata in possesso dei Malaspina nel XVIII secolo, l’abbazia dopo l’avventura e soppressione napoleonica, fu di Alfonso Malaspina, morto il quale nel 1816, i diritti abbaziali passarono al duca di Modena e da questo all’Italia unita. Chissà che non siano state complesse vicende vissute dal Popolus Avulae, costretto a fare i conti con abati, vescovi e marchesi di turno, ambizioni di Giovanni dalle Bande Nere, ducati e monarchia, fino alle bombe che l’hanno ferita dal 1943 e all’alluvione del 2011, a determinarne quel poco orgoglio di appartenenza e amore per la comunità dei giorni nostri?
Riccardo Boggi