Carestia: quando a morire di fame eravamo noi. Mancanza di cibo e tifo nel 1816-17

carestiaNel 1816 e 1817 il territorio lunigianese fu colpito da una grave carestia che fece moltissimi morti, per fame e per epidemia di tifo.
Era appena finita la dominazione napoleonica, che fece morire un’infinità di soldati anche dei nostri, e subito altri nefasti “cavalieri dell’Apocalisse” sconvolsero la vita delle persone.
Tra le fonti locali di documentazione, in alcune pagine del Liber Chronicus di Vignola, compilato dall’arciprete Pietro Orsini, si legge testualmente. “1816: grande carestia. Fu tanta e tale la carestia dei raccolti in ogni genere dei prodotti della terra che gran parte del popolo fu costretta a partire per la Maremma, per la Lombardia, ed in altre parti, di dove gran parte non sono tornati e di quelli che restarono, non vi era modo di trovare denari a censo, né di vendere le migliori sostanze che avevano, né tampoco trovavano vettovaglie a credito, e perciò molti andarono all’Ospitale di Pontremoli ed ivi morirono, massime che si aggiunse certa malattia chiamata tifo, quale in breve tempo li mandava all’eternità. Nel 1817 nel paese ci furono 50 morti, più del doppio della media di quegli anni”.
Dalla cruda relazione alcune osservazioni. Andare braccianti in Maremma procurava qualche soldo in più perché era terra di endemica malaria e a maggior rischio (si vedano le novelle Nedda e Malaria di Giovanni Verga). Non era ancora diffusa la libera circolazione delle merci in un’Italia appena riportata allo spezzettamento dell’ Ancien Regime, con tante barriere doganali. L’economia era così in crisi che non vi era accesso al credito né da parte delle poche banche né da negozianti disponibili a dare cibo e segnare sui famosi “libretti” i “pagherò” che hanno aiutato in altri momenti tante persone nel bisogno. Non funzionava neppure il “compro oro” per quei pochi che avevano qualche gioiello da vendere. La carestia e il tifo petecchiale non colpì solo Vignola.
Nicola Zucchi Castellini nel suo libro “Pontremoli dalle origini all’unità d’Italia” parla di prolungata carestia ovunque e di tifo petecchiale che portò a trasferire l’ospedale nell’ex-convento dei Carmelitani per affrontare l’emergenza. In poco più di due anni la popolazione del territorio comunale decrebbe di 1591 unità: da 14.529 a 12.938.
La storia dovrebbe farci riflettere sul ben più gigantesco flusso migratorio di chi oggi scappa dalla guerra, dalla fame per i disastri climatici e per i neocolonialismi economici e finanziari. Che differenza fa morir per bombe o per fame?

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