La storia di Fabiano Antoniani – dj Fabo – ha richiamato l’attenzione degli Italiani sulla questione del fine-vita proprio in un momento in cui è prevista la discussione in Parlamento di un controverso disegno di legge sull’argomento, più volte rimandato, di difficile formulazione e che, nell’attuale stesura, presenta molteplici criticità.
Una legge indubbiamente necessaria, ma che, da parte di potenti gruppi di opinione, in nome di un pur ragionevole senso di urgenza, rischia di essere trasformata in qualcosa di diverso dallo scopo previsto. Perché si chiede di morire? Questa richiesta implica l’esasperazione nei confronti di una sofferenza o di un disagio.
Sono in realtà questi che il malato chiede vengano rimossi. Sarebbe nel suo stesso interesse e anche nell’interesse della comunità dei cittadini, se gli venissero presentate delle prospettive di sostegno o, comunque, un percorso di accompagnamento, per permettergli di ritrovare la serenità, che. in quelle condizioni, diventa la priorità assoluta.
Non è necessario garantirgli la sopravvivenza ad ogni costo, ma sarebbe ragionevole dargli la possibilità di fruire del tempo che gli resta senza soffrire. Sul fronte del dolore fisico sono stati fatti grandi passi in avanti, ma, al contrario, l’impegno per combattere quello psicologico, molto più subdolo, non è neppure sufficiente. Il malato viene spesso marginalizzato, trattato come una creatura da compatire, da una cultura che ha fatto un idolo del corpo sempre sano e bello; al punto che non pochi, parlando della malattia e della disabilità, dichiarano che “una vita simile non è degna di essere vissuta”. In un tale clima, è chiaro che il malato finisce per auto-convincersi che la morte sia la soluzione migliore.
In questo scenario, una legge sul fine-vita non andrebbe a suo favore, ma anzi innescherebbe un circolo vizioso in cui il malato-disabile viene sempre più emarginato e sempre più spesso giunge a desiderare la morte, non perché il dolore è troppo grande, ma perché si sente inutile e un peso per gli altri. E non solo il malato: negli Stati Uniti d’America, dove, in alcuni singoli stati, esiste una legislazione sul suicidio assistito, si sono creati movimenti che reclamano l’estensione del diritto all’eutanasia anche a chi soffre di “grave disagio psichico” ma è altrimenti sano.
E nei Paesi Bassi è in corso una battaglia per una legge che garantisca il suicidio assistito a qualsiasi richiedente al di sopra dei 70 anni, a prescindere dallo stato di salute, per correggere la legge precedente del 2002, “ingiustamente restrittiva”.
Il solo antidoto a questa deriva è cambiare paradigma, dimostrare che ogni vita è degna di essere vissuta e che nessuno è un peso, promuovendo non solo il ‘curare’, ma anche il ‘prendersi cura’ gli uni degli altri.
Pierantonio e Davide Furfori