Il VII convegno in memoria di mons. Giuseppe Taliercio, organizzato sabato 11 febbraio a Carrara dall’Azione Cattolica diocesana, ha avuto tra i relatori il direttore del quotidiano Avvenire, Marco Tarquinio, e il vescovo di Campobasso Bojano, mons. GianCarlo Maria Bregantini. I due esperti, entrambi personaggi molto noti in ambito ecclesiale, sono intervenuti sul tema centrale dell’assemblea elettiva della associazione: “Vivere la gioia di Cristo per condividere il coraggio e la fatica di essere compagni di strada”. A partire da questi argomenti, abbiamo chiesto ai due ospiti di approfondire alcuni aspetti che caratterizzano il particolare momento che la Chiesa sta vivendo, chiedendo loro di esprimersi in particolare sul ruolo insostituibile che i laici sono chiamati a svolgere per testimoniare che, nonostante il grande senso di smarrimento che caratterizza la nostra epoca, il Vangelo è ancora attuale e che anche oggi si può vivere secondo la Parola in esso contenuta.
Marco Tarquinio, direttore di Avvenire
“Il nostro presente? Siamo di fronte ad un cambiamento di epoca”
Che significa per i cristiani “vivere la gioia di Cristo” nella società di oggi?
Significa essere segno di contraddizione nei confronti degli atteggiamenti dominanti nella società: il sospetto, l’odio verso il diverso e verso chi costruisce la propria vita al di fuori dei canoni del successo. Questa onda di sentimenti non è inesorabile. I cristiani devono essere capaci di dimostrare che c’è un altro modo di vivere.
È innegabile che ciò costi fatica.
È faticoso oggi, come lo è sempre stato in passato. Ogni generazione vive il suo presente e il presente è ciò che ci condiziona e ci rende inquieti. Il nostro presente è un tempo di guerra: una guerra combattuta a pezzi, come rimarca anche papa Francesco; una guerra che si presenta non solo nelle sue vesti tradizionali, ma anche sotto forma di conflitti economici, morali, persino contro l’uomo e la donna nella loro verità costitutiva. Sono alcuni dei segni non di un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento di epoca. È una sfida grande, ma cosa c’è di più bello che vivere con fiducia il tempo della propria esistenza?
La Chiesa italiana si è incamminata sulla strada che papa Francesco le ha indicato nel Convegno Ecclesiale di Firenze. Che ruolo giocheranno i laici in questa partita?
I laici avranno un ruolo impegnativo. La comunità cristiana italiana si è abituata ad una presenza diffusa di sacerdoti e religiosi. Questo quadro è profondamente cambiato. Al Popolo di Dio, sacerdoti e laici, sarà richiesto di essere portatori di nuove qualità, oltre a quelle proprie per tradizione. Si badi: questo non significa avere laici che diventano chierici, ma uomini e donne che vivono la propria fede in più dimensioni, come già oggi fanno molti sacerdoti, religiose e religiosi, che sono pure bravi economisti, ingegneri, medici. Si tratta solo di mettere a disposizione i propri carismi, come richiesto da quel Concilio Vaticano II che – ha affermato il Papa nella sua intervista ad Avvenire a fine Giubileo – ha vissuto 50 anni decisivi ma ha davanti altri 50 anni per essere attuato.
Monsignor Giancarlo Bregantini, Vescovo di Campobasso-Bojano
“Cristiani vivi, taglienti, carichi di coraggio, capaci di messaggi di gioia”
Il Papa, nell’Evangelii Gaudium, delinea una “Chiesa in uscita”. Qual è la sfida per i laici in questo scenario?
Quella dei laici è la sfida più importante. La gioia del Vangelo è portata nel mondo dal lavoratore in ufficio, dalla mamma che cura il bambino, dai fidanzati che si preparano al matrimonio, da chi assiste le persone morenti. Grandi valori cristiani come la solidarietà, la cooperazione, la fraternità non possono essere limitati alla testimonianza individuale, ma devono essere resi vivi da una presenza collettiva, che esce dalla sua cittadella per trasformare il presente in un tempo di speranza.
Si prospettano, quindi, atteggiamenti nuovi per i cristiani di oggi.
In questo tempo in cui tutto cambia, l’atteggiamento delle “sentinelle” a guardia dell’esistente non è più sufficiente. Occorre uscire, andare verso il nuovo, diventando cristiani vivi, taglienti, carichi di coraggio, capaci di messaggi di gioia che diano uno slancio rinnovato a vite appesantite da mille problemi, a partire dalla precarietà dei nostri giovani o, per rimanere alla realtà di questa terra, a partire dalla dura realtà del dolore della morte che si sperimenta nelle cave del marmo di questa città.
Lei, che proviene da una diocesi del Nord, è da anni pastore di diocesi del Mezzogiorno. Cosa possono imparare le prime dalle seconde e viceversa?
Le Chiese del Nord hanno una grande capacità organizzativa unita alla tradizione solidaristica. Le Chiese del Sud hanno invece una grande capacità “motivazionale”. In Calabria, per esempio, la Chiesa, purificata da una forte battaglia con una religiosità popolare in cui la ‘Ndrangheta traeva legittimazione, sta dimostrando un livello di coraggio molto alto. Quando la fede è sfidata dal male, come accaduto in Calabria, ma anche in Sicilia, non può essere neutrale: deve prendere posizione, e questo aumenta la motivazione. La Chiesa italiana può trarre slancio intrecciando quindi l’organizzazione e la motivazione che emergono dalle sue differenti realtà.
Interviste a cura di Davide Tondani