La frattura tra ideale e reale: pazzia o consapevolezza?

Il 22 e 23 aprile 1616 morivano Miguel de Cervantes e  William Shakespeare giganti della letteratura

È presunzione pensare di poter entrare nella profondità poetica della visione del mondo espressa da Cervantes e Shakespeare, ma tant’è: proviamo a tracciare qualche nota elaborata leggendo e amando le loro opere.

Don Chisciotte
Don Chisciotte e Sancho Panza

Miguel de Cervantes fu un poligrafo, ma la sua gloria sta nel romanzo Don Chisciotte della Mancia, uno dei più grandi libri del mondo in cui fede e caos, sublime e infimo, reale e visionario si intersecano in una narrazione vasta come un fiume in piena. Il protagonista Don Chisciotte è un cavaliere dell’ideale, a forza di leggere di imprese eroiche dei cavalieri medioevali, si crede uno di essi, non si ritrova nel mondo reale, che non possiede più i sogni, le fantasie che danno senso alla vita. È la consapevolezza che a Cervantes veniva dalla sua travagliata vicenda personale e dalla situazione storica del declino della Spagna, la cui “Invincibile Armata” fu annientata nel canale della Manica dalla egemonica potenza inglese. La fiducia rinascimentale dell’uomo centro della storia e capace di raggiungere la realizzazione integrale di sé è ormai lontana, comincia la modernità del “manierismo” e del barocco, che interpretano la realtà come continua novità, metamorfosi e stupore: è un disinganno, uno smarrimento che l’uomo da allora si porta dentro ed è sostanza di inquietudine. Sono gli anni in cui Galileo ci fa entrare in un mondo capovolto nel suo centro di gravitazione, in cui è vero solo ciò che risponde a codici matematici ed è provato dalla “sensata esperienza”: ne viene sgomento. Don Chisciotte è tragico, gli altri lo considerano impazzito, ma è dotato di ironia e di raffinati giochi intellettuali, come osserva il suo scudiero Sancho Panza, che incarna l’uomo positivo, di buon senso, ma anche l’opaca quotidianità, antitetico ma integrato, si fa sedurre dall’illusione di diventare governatore dell’isola promessa per i servigi al suo padrone. Cervantes elogia la fantasia, il diritto di sbagliare, l’umiltà che rende l’uomo pronto alla misericordia, degno di pietà, d’amore e di qualche gloria, come ben osserva il poeta Ungaretti. Cervantes ha scritto un libro vero in cui ciascuno può riconoscere una parte di sé, con l’autenticità della poesia salva e cura la realtà e la crisi morale del suo tempo difendendo la libertà, l’immaginazione, il sogno senza il quale si sarebbe morti perché solo razionali, tecnologici, robotizzati (oggi prospettiva non assurda). Don Chisciotte rende la vita sopportabile, lo fa col suo ragionar sottile e ironico, varia e abbellisce la monotona realtà e porta rasserenamento delle passioni. Quando rientra nella concretezza del reale, muore confidando argutamente “io sono nato per vivere morendo”.

Stretto contemporaneo del grande spagnolo è l’inglese William Shakespeare, il più grande creatore di racconto tragico dopo la sublimità dei Greci. Poeta della profondità complessa dell’animo umano, che solo la scena poteva in parte rendere, è un classico per tutti i tempi, creatore di personaggi sempre nuovi, originali, romantici, violenti, gelosi, ambiziosi, tirannici, in cerca di non raggiungibili certezze, tormentati dal rimorso, ma anche saggi come Prospero nell’ultima opera La tempesta. Falliscono gli affetti, le norme morali, alla conclusione della vita il vecchio Re Lear constata lo scacco, il fallimento; e “il resto è silenzio” sono le ultime parole di Amleto. Sempre essenziale nella multiformità delle sue opere è l’attenzione portata all’uomo inserito nel suo mondo storico e osservato nel suo agire nello scontro con un’indecifrabile realtà: è qui avvertibile l’impronta della modernità di Shakespeare, una forza della natura che fu capace di percepire ciò che circolava nell’aria di un’epoca, di assorbirlo e restituirlo con una meravigliosa genialità creativa, che si manifesta pure nello stile sempre cangiante , insieme comico e tragico, grottesco e sublime, integra l’uso letterario della lingua insieme al gergo popolare. Shakespeare è un nostro contemporaneo, specchio delle ansie, ambiguità e tormenti della condizione umana, un percorso in cui il poeta è capace di penetrare ogni situazione psicologica e ragionativa, storica e morale. Sempre curioso verso l’uomo e la sua natura, straordinario nella capacità di concepire e creare il personaggio. Non è facile interpretare l’immensa produzione di Shakespeare, oltre trenta opere tra commedie, tragedie e più di cento sonetti, aperte a letture diverse secondo la sensibilità critica e il contesto storico: ad esempio, l’ebreo Shyloch de Il mercante di Venezia, è oggi interpretato non come l’usuraio ostinato ma, dopo la Shoà, come simbolo della sofferenza e dell’incomprensione verso il suo popolo.

Maria Luisa Simoncelli