Che la Lunigiana fosse una terra povera lo testimonia il suo essere ai primi posti per i flussi migratori; chi partiva spesso non aveva mestiere e finiva nelle grandi distese agricole dell’America del Sud o nelle miniere degli Stati Uniti. In tanti non sono tornati, ma c’è chi quel viaggio di ritorno lo ha fatto più consapevole: il lavoro in miniera, nei cantieri delle ferrovie americane, nelle fabbriche delle grandi città lo aveva formato. Anche nelle nostre valli arrivò un rinnovato sentimento anarchico in un terreno fertile che quell’anarchia aveva già sentita propria. Ma in Lunigiana ci furono anche anni di piena occupazione: una di queste stagioni fu alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento con la costruzione della ferrovia tra La Spezia e Parma. Migliaia di persone trovarono lavoro nei cantieri; in tanti rientrarono dai più lontani paesi di emigrazione. Anche le donne e i bambini erano all’opera nei cantieri: per loro mansioni pesanti e salari bassissimi. Le foto ci mostrano uomini su alte e precarie impalcature di legno per la costruzione dei viadotti e Squadre di operai impegnate nei fiumi per procurare gli inerti. Gli uomini spalano la ghiaia, le donne si caricano sulla testa pesanti ceste colme, le bambine trasportano pietre. Il magro salario diventa ancora più povero quando gli operai sono costretti ad acquistare cibo e attrezzi negli spacci delle stesse società dalle quali dipendono, che così recuperano buona parte delle paghe. È in questi cantieri che si registrano i primi scioperi. Lunghi turni di lavoro in condizioni insopportabili portano gli operai a protestare più volte, ma è solo nel 1890 che riescono ad organizzarsi per il primo grande sciopero. Il 2 maggio più di 400 operai incrociano le braccia a Borgotaro: qui è giunta l’eco degli scioperi del Primo Maggio in altre province, ma in questo caso, come scrive il sottoprefetto, “sembra però che il principale movente sia stato quello di poter ottenere dall’impresa migliori patti”. Il 7 maggio, lo sciopero riprende e si allarga: comincia a Guinadi da 150 operai ma in breve diventano quasi duemila. Chiedono di non essere obbligati a comprare dall’impresa l’olio per le lampade; il ripristino a 1 lira della diaria di convalescenza che era stata ridotta a 70 centesimi; la possibilità di prelevare ogni quindici giorni acconti sulla paga; l’abolizione dei buoni che costituiscono il salario e che devono essere spesi negli spacci dell’impresa; la presenza continua di un medico nei cantieri più pericolosi; l’aumento di 50 centesimi della paga giornaliera. Dopo dieci giorni di trattativa e il temporaneo arresto di diciotto operai per “eccitamento allo sciopero” l’impresa accetta tutte le condizioni tranne l’aumento di paga e il lavoro riprende.

Paolo Bissoli