
Ultimi dibattiti in vista del 4 dicembre, data del voto per il referendum costituzionale

Finalmente sta avviandosi alla conclusione la telenovela che da qualche mese occupa le cronache politiche nazionali: esauriti i ricorsi, il 4 dicembre gli italiani saranno chiamati alle urne per il referendum sulla riforma di legge costituzionale proposta dal governo Renzi e votata a maggioranza dal Parlamento. La novità principale, su cui ci si accapiglia, è la trasformazione che subirà il Senato, ridotto a 100 membri e senza più la parità con la Camera nell’approvazione delle leggi. È la fine del bicameralismo perfetto. Sembrerebbe una cosa ovvia, ma le opposizioni vedono il rischio di strapotere da parte del governo. I commenti si rincorrono all’infinito sulle reti televisive e sui giornali. Non passa giorno che non vi siano tavole rotonde dove sostenitori del ‘sì’ e del ‘no’ si affrontano. Potrebbe sembrare un buon segnale se non fosse che, invece di approfondire i contenuti della riforma costituzionale, le discussioni si incartano spesso sugli stessi spunti polemici, riesumando anche personaggi che sembravano al margine della scena politica. Il risultato è che stando ai sondaggi, su cui tutti sono molto cauti se non scettici dopo le ultime figuracce anche internazionali, gli italiani appaiono molto confusi. Si scopre, per esempio, che solo il 20% di essi conosce i contenuti della riforma, che un 40% ne ha sentito parlare, che molti non sanno neppure cosa sia. I dati forniti dai vari sondaggisti forniscono soltanto un risultato certo: il ‘no’ è in vantaggio sul ‘sì’. Ma poi le percentuali dei votanti, degli indecisi, degli astensionisti ballano allegramente e sono spesso abbastanza difficili da decifrare perché le somme non sempre tornano. Secondo Renzi, oggi, sommando gli indecisi (21%9) e gli astensionisti (38%), la maggioranza degli italiani non andrebbe a votare, mentre altri giungono ad una percentuale di circa il 40%. Sembra, ed è più che un’opinione, che la battaglia non sia tanto attorno alla riforma quanto attorno alla figura del capo di governo. Il referendum diventa un pretesto per affondare Renzi. I segnali sono di vario tipo. Tutte le opposizioni sono quasi compatte sul ‘no’. Ad esse, però, si aggiungono anche le minoranze del Pd, che pure hanno votato per sette volte il testo, anche se con lo strumento della fiducia. Il testo attuale era stato concordato con Berlusconi durante il cosiddetto Patto del Nazareno. Forza Italia per tre volte (due alla Camera e una al Senato) aveva approvato la legge. Poi, con l’elezione del presidente Mattarella, Berlusconi tolse il sostegno del suo partito. Da allora la riforma è diventata “pessima”. Per quanto riguarda il Pd le cose si stanno trascinando da tempo ed i rapporti tra maggioranza e minoranza sembrano rapporti da separati in casa. Si è fatta anche confusione con la legge elettorale, sulla quale si è riaperto il confronto all’interno di quel partito. I sostenitori del ‘no’ oggi affermano che dopo la loro vittoria sarà facile fare una migliore riforma. La domanda è: chi la farà? Il cartello di oggi non è certamente un cartello di alleanze governative e guardando alla frammentarietà degli attuali alleati e, soprattutto, le variegate provenienze politiche e visioni del Paese sembra piuttosto difficile pensare che si possano trovare convergenze su un tema all’ordine del giorno fin dal lontano1951, quando Giuseppe Dossetti, un padre costituente, aveva fatto un appello a superare l’eccesivo garantismo di un “bicameralismo integrale”. Difficile illudersi: se vince il ‘no’ le cose resteranno come sono ancora per parecchio tempo.
Giovanni Barbieri