
Indicazioni interessanti da una recente rilevazione Istat
I giovani sono più flessibili di quanto ci aspettassimo, ma dovrebbero comprendere che la loro prima tutela è la capacità di studiare per orientarsi nel nuovo mondo delle occupazioni. Esistono spazi dei giovani nel mondo del lavoro anche se spesso si preferisce raccontare l’immagine delle scarse possibilità di trovare un’occupazione.
Sicuramente non è facile l’ingresso nel mercato del lavoro, perché rispetto al passato le dimensioni non sono più quelle dei confini nazionali. I giovani sanno già che per loro iniziare a lavorare può significare espatriare. Lo mettono in conto. Lo considerano come un’esperienza possibile e non irreversibile. Per loro è un’esperienza per migliorare la professionalità o per trovare condizioni di lavoro migliori di quelle che offre l’Italia. In fondo viviamo nell’Unione europea dove la libera circolazione è garantita. Spostarsi da un Paese all’altro un tempo si chiamava migrazione, oggi si chiama mobilità (per i cittadini Ue). Una recente rilevazione Istat mette a fuoco alcune caratteristiche dei giovani nel mercato del lavoro e ne emergono indicazioni interessanti.
Prima fra tutte c’è la loro disponibilità a trasferirsi: il 40%, che diventa il 43,4% nella fascia d’età tra i 20 e i 25 anni, per un lavoro cambierebbe residenza. Sono soprattutto i laureati ad avere più apertura, loro arrivano al 57,1%. Un altro elemento che indica l’apertura verso il lavoro è l’esperienza lavorativa durante il percorso di studi: il 44,6% ci dice l’Istat ha svolto un’attività a volte retribuita altre volte no (stage, tirocini, volontariato). Alcuni di questi sono stati svolti all’interno del curriculum scolastico o universitario, però molti altri sono state occasioni in cui i ragazzi e le ragazze si sono messi in gioco da soli.
Dalla rilevazione vanno segnalate poi altre due caratteristiche che ci raccontano la realtà del mondo lavorativo.
Molti giovani hanno dichiarato di avere iniziato a lavorare, perché segnalati da un parente o un amico. Questo ci dice due cose: innanzitutto che l’Italia è un sistema caratterizzato da piccole e medie imprese che scelgono chi assumere non solo in base al percorso di studi, ma – soprattutto – in base alla reputazione della persona; poi ci dice anche che i giovani privi di una rete relazionale estesa faticheranno più degli altri a trovare lavoro.
La seconda caratteristica che si evidenzia è l’importanza del titolo di studio: i laureati hanno una probabilità di trovare lavoro assai superiore degli altri: il 71,7% di loro è occupato, contro il 63% dei diplomati e il 47,4% degli altri. Diventa allora fondamentale combattere l’abbandono del percorso di studi che ora arriva al 14,2%, perché non solo una istruzione incompleta indebolisce le capacità di vivere pienamente i propri diritti di cittadinanza, ma rende più vulnerabili quei ragazzi nella ricerca del lavoro. (Andrea Casavecchia – Agensir)
Restano alti i livelli di povertà nel Mezzogiorno
Il Rapporto 2017, presentato alla Camera dalla Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), disegna l’immagine della salute economica del Meridione. È un ritratto a più facce. Tra gli aspetti positivi, la capacità del Sud di agganciare la ripresa con tassi di crescita di poco inferiori a quelli del Centro-Nord. Tra i negativi: la fuga di cervelli e il calo demografico. L’altro problema non risolto riguarda la povertà “che resta sugli alti livelli di sempre”, contribuendo a frenare la ripresa. Nel Sud un abitante su tre è esposto alla povertà (34,1%), con Sicilia e Campania che sfiorano il 40%; contro una media nazionale del 19% e quella del Centro-Nord all’11,0%.