Francesco D’Assisi, Pietro Valdo e la comune ricerca della “forma del Santo Vangelo”

Walter Map, ecclesiastico inglese, interrogò i valdesi al Concilio Lateranense III li definì così: “nudi mundum Christi sequentes”. La “nudità” avvicina le due esperienze, di Francesco e Valdo, entrambi si “spogliano”, entrambi cercano la “forma del Santo Vangelo”.
Pietro Valdo, ricco mercante, letto il Vangelo, dette ai poveri tutto quello che possedeva.
Francesco, ricco mercante, cercherà il Vangelo, ma solo dopo una crisi esistenziale, rielaborata dall’incontrando con i lebbrosi. La sua spogliazione, sarà però un grido di “libertà” contro l’abito di cavaliere e ricco borghese, imposto dal padre. La povertà di Valdo era motivata come critica del lusso e dell’immoralità del clero; urgeva una riforma religiosa. Il libro degli Atti degli Apostoli, per Valdo, diventerà il il modello biblico per “riparare” la Chiesa. Il crocifisso per Francesco.

Worms: statua raffigurante Pietro Valdo

Bisogna serenamente riconoscere che non avevano torto. Valdo costituì attorno a sé una confraternita di laici, definendoli “poveri in Cristo”, poi chiamati “poveri di Lione”. Valdo auspicava una riforma della Chiesa, con la speranza delusa e sofferta di non avere scissioni. Una loro delegazione, al Concilio Lateranense III, non ottenne il permesso circa la predicazione laicale.
La Chiesa gerarchica non seppe cogliere, pur essendo vero il timore di laici teologicamente impreparati, la voce profetica e critica dei credenti, che desideravano una Chiesa più aderente alla Parola di Dio. I Valdesi diffusi in modo rapido, si scontreranno con questa rigida posizione, che produrrà scissioni e persecuzioni, e, durante la Riforma, aderiranno al protestantesimo.
Questo dovrebbe insegnare alla Chiesa di non avere paura del “nuovo”, perché la paura blocca il discernimento e non fa cogliere i “segni dei tempi”; la volontà di Dio si esprime anche nelle contestazioni del suo popolo. Francesco vivrà la sua esperienza come dono della Grazia, consapevole dei guai della Chiesa, ma attento al riformare più se stesso e i suoi, in una condivisione con i più poveri e lì, “riparare” la Chiesa.
Francesco sognerà una fraternità, che vive “con” il popolo e non “per” il popolo. Diversamente da Valdo, incontrerà la lungimirante posizione di Innocenzo III, che approverà la regola orale. Il Poverello non manda a fare servizi ma a condividere. Annuncerà “pace e bene” e non la disputa.
Difenderà tutto questo, con sofferenza, anche quando l’Ordine pretenderà la Regola. L’esperienza della Verna cambierà in letizia le sue ferite, trasformandole in quelle di Cristo (stimmate). Il canto le “Lodi di Dio Altissimo” è il risultato di ciò. Nel 1225 scriverà il Cantico delle creature. Pietro Valdo ha inaugurato una strada parallela. Per lui la “povertà” è l’elemento costitutivo dell’apostolato: povero quindi apostolo! L’Apostolo non povero è “muto”, la sua pastorale vuota.
La sua richiesta di predicazione, interpretata come usurpazione di un potere, e proibita, ha delimitato la sua esperienza. Valdo morirà amareggiato nel 1206. Dobbiamo riconoscere che il divieto da lui ricevuto, ha oggi un riscontro nei seguaci delle forme rigide di clericalismo, che, come allora, avversano le posizioni chiare del Vaticano II sul ruolo dei laici, partecipi ma non sudditi.
Quando la pastorale è un potere sacro, privo di testimonianza, e non scaturisce dalla Parola di Dio, risulta inefficace. Francesco rimane nella Chiesa il grande testimone dell’umile e del semplice, che annuncia più con la vita che con le parole.

(Don Pietro Pratolongo)