
Dalle Unità pastorali ad una rinnovata presenza sui territori. “Sono uno strumento prezioso per una rinnovata comunione della comunità cristiana e un nuovo slancio missionario”. “Ricostruiamo il tessuto delle parrocchie che si è troppo frammentato anche a seguito della diminuzione della partecipazione e del numero dei sacerdoti
Riprendendo il recente incontro con il clero avvenuto 7 giugno a Pontremoli nell’ambito della Giornata sacerdotale, in quella occasione il vescovo ha fatto riferimento al tema delle Unità pastorali e ad alcuni trasferimenti dei parroci, accolti con alcuni “malumori”. Ai sacerdoti ha detto: “Non possiamo chiedere alle comunità di risolvere in poco tempo problemi che ci trasciniamo da anni, sarebbe ingiusto. Ma possiamo altresì chiedere di passare da un senso di rassegnazione generale alla speranza, che è sempre fondata sul Risorto”. Abbiamo chiesto al vescovo fra’ Mario di approfondire questo importante argomento.

Eccellenza, con quali attenzioni e impegno è possibile effettuare questo cambio di prospettiva?
“Intanto occorre rendersi conto che i tempi sono cambiati. Non viviamo più in una società cristiana, ma continuiamo a confidare che la struttura della Chiesa rimanga sempre questa e che la comunità cristiana in modo automatico possa continuare ad offrire gli stessi servizi e avere la stessa capillarità che c’era in passato. Questo prendere contatto con la realtà è già un primo passaggio da compiere, su cui viene in soccorso il Concilio Vaticano II, in particolare la Gaudium et Spes, quando parla di leggere i segni dei tempi, guardando la realtà per quello che è, cercando di uscire dal ‘sogno’ che tutto debba rimanere uguale. In seguito, oltre l’aiuto che possono darci le scienze sociali, occorre leggere la realtà attraverso la Parola di Dio, attraverso lo Spirito del Risorto che è il primo dono ai credenti dopo la resurrezione, che continua ad operare non solo nei cuori dei fedeli, ma anche nelle comunità. È il Risorto che ci aiuta a guardare avanti con speranza, non a caso la bolla di indizione del Giubileo del 2025 si intitola proprio ‘Spes non confundit’, cioè la speranza non delude, ‘perché l’amore è stato riversato nei nostri cuori’, come ci suggerisce la Lettera ai Romani: la fonte della speranza è l’amore crocifisso di Gesù. Questo comporta anche la capacità di passare attraverso la sofferenza e la morte che ci sono nella nostra realtà, apparentemente è in contraddizione con la vita, ma al termine c’è la resurrezione, quindi una nuova esistenza. Una virtù fondamentale della speranza è la pazienza, cioè la capacità di attraversare il nostro tempo con i piedi ben fondati nella realtà, ma con lo sguardo che è indirizzato oltre, verso Dio che ci viene incontro”.

Sempre nella Giornata sacerdotale, lei ha donato ai presenti un volume intitolato, “Cristiani in un mondo che non lo è più. La fede nella società moderna”, scritto da Josef De Kosel, cardinale e arcivescovo emerito di Brussel-Malines. Quale stimolo e impulso ha inteso dare ai parroci con questo libro?
“Anzitutto è stato scritto da un cardinale, che è stato vescovo in Belgio, in un contesto sociale scristianizzato, ma che fa intravedere le possibili prospettive per il nostro futuro. Da un lato questo libro aiuta a prendere coscienza della secolarizzazione, ma dall’altro nutre la speranza perché è proprio in questa situazione che siamo chiamati ad annunciare il Vangelo che è atteso dal nostro mondo, dove la politica è incapace di visioni future, per cui la voce della Chiesa non può venir meno”.

In tema di Unità pastorali, dopo i progetti iniziati tra il 2023 e il 2024, adesso è prevista la partenza nel territorio di Aulla. Quello delle Unità pastorali non è soltanto dettato da una esigenza organizzativa e amministrativa, ma in quali termini può essere intesa come un rinnovamento in senso missionario delle comunità?
“Le Unità pastorali rappresentano uno strumento prezioso per una rinnovata comunione della comunità cristiana e per un nuovo slancio missionario. Riorganizziamo il territorio nell’ottica di ricostruire il tessuto delle parrocchie che si è troppo frammentato e parcellizzato, anche a seguito della diminuzione della partecipazione e del numero dei sacerdoti. La comunione così come la delinea il Vangelo, cioè l’intima unione al Corpo di Cristo, è amore reciproco, è portare i pesi gli uni degli altri, è lo stile della lavanda dei piedi, è la correzione fraterna. ‘Da questo sapranno che siete miei discepoli’, dice il Vangelo a sottolineare come questa sia una prima forma di annuncio e testimonianza al mondo. Questo comporta il saper accogliere le persone povere, gli emarginati, gli scartati e i ‘lontani’.
Dunque si tratta di un progetto concreto e strategico…
“Quello delle Unità pastorali è un progetto molto concreto. Riguarderà la riorganizzazione delle celebrazioni domenicali, così come i cammini di iniziazione cristiana, la pastorale familiare, la pastorale dei giovani, la formazione permanente di un laicato adulto: saranno queste le frontiere su cui la comunità cristiana sarà chiamata ad essere presente nel territorio. Cruciale sarà il ruolo dei laici che in base alla loro ministerialità avranno compiti di animazione e promozione della comunità cristiana nell’ottica della corresponsabilità coi parroci”.
Recentemente lei è stato al monastero di Camaldoli assieme ai vescovi della Toscana: quali tratti e sottolineature si sentirebbe di indicare dopo questa esperienza?
“Nella Visita ad Limina che abbiamo vissuto ad aprile, il Papa ci ha dato quattro consegne: la relazione con Dio, quella tra di noi, quella con il popolo che ci è affidato e con il mondo. Nel nostro percorso non siamo soli perché anche nelle altre diocesi si sta vivendo una stagione di cambiamenti per rendere la testimonianza dei cristiani più incisiva nel leggere i segni dei tempi nell’ottica della comunione e della missione”.
Davide Finelli