
Da oltre 70 anni di potere, il Partito Colorado vince le elezioni. Restano corruzione e disuguaglianze

Il Partito Colorado, da oltre settant’anni al potere in Paraguay, si è aggiudicato anche le elezioni presidenziali di domenica 30 aprile. Non c’è ballottaggio e il nuovo presidente Santiago Peña ha vinto, in modo più ampio del previsto, con il 42,7% dei voti, contro il 27,5% del suo principale avversario, Efraín Alegre, come cinque anni fa alla guida di un’ampia ed eterogenea coalizione.
Molti voti sono andati anche al bizzarro candidato anti-sistema Paraguayo Cubas, che ha raggiunto a sorpresa il 22% dei consensi. Il risultato non era scontato in quanto sembrava in dubbio quello che era sempre avvenuto nel passato e cioè che il Partito Colorado riuscisse a ricompattarsi in vista delle elezioni.
Questo perché le polemiche sorte durante la campagna elettorale avevano portato il presidente uscente, Mario Abdo Benítez, leader della corrente “Fuerza republicana”, a non sostenere Santiago Peña, che gli avversari politici considerano una “marionetta” in mano dell’ex presidente Horacio Cartes (2013-2018), leader della componente “Honor colorado”.
Cartes, lo scorso anno, era finito nella lista nera del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, che gli ha tolto il visto e lo ha accusato di corruzione e contiguità con gruppi criminali, decretando dure sanzioni contro di lui, la sua famiglia e le sue imprese. Questo “incidente” ha impedito a Cartes di ricandidarsi ma non di “piazzare” come candidato, in seguito alle primarie, il fedelissimo Peña.
Raúl Ricardi, sociologo e docente universitario, spiega che la gente vive la politica con poco entusiasmo e con apatia perché nel Paese “la corruzione può essere considerata istituzionale, l’ex presidente e membri di Governo sono dichiarati corrotti dagli Stati Uniti, durante la campagna elettorale neppure quest’anno sono mancati favori e clientelismi”. Proprio perché la corruzione è un fenomeno “politico, sociale, commerciale e culturale, difficile pensare a grandi cambiamenti”.
C’è, poi, l’allarme per l’aumento del narcotraffico: “Non c’è dubbio, dice Ricardi, che lo Stato è permeato da mafie e narcotraffico e che il potere dei cartelli brasiliani è in aumento. I segni di speranza, conclude il docente, arrivano dai giovani, ma si tratta di iniziative timide, nell’ambito di una società civile molto debole”.
Sull’argomento interviene anche Roque Acosta, responsabile della Pastorale sociale della Chiesa del Paraguay. “Non possiamo non farci un esame di coscienza, siamo un Paese dove il 90% della popolazione è di fede cattolica, ma anche uno dei più corrotti al mondo. A persone cristianamente formate dovrebbe corrispondere un criterio di discernimento. Rafforzare la società civile in Paraguay è la prima sfida”. “Il nuovo presidente ha il compito di sanare il profilo istituzionale del Paraguay ma sappiamo anche che è molto vicino a Cartes: i dubbi sul futuro sono ragionevoli”.
(B.D.)