
La diocesi di Senigallia attiva per accogliere gli sfollati

Quel colore, il giallo dell’allerta, a tenere desta l’attenzione verso le condizioni meteo avverse, nonostante le previsioni che, ancora una volta, non hanno tenuto conto dell’imprevedibilità di Madre Natura. Una regione che, dopo i terremoti del 1972, del 1997 e del 2016, ben conosce il significato di una calamità che, di colpo, spazza via ogni certezza. Avvisaglie future e consapevolezze passate che però non sono bastate, perché un’apocalisse del genere, sfociata in tragedia, come quei fiumi d’acqua che scorrono impazziti nelle immagini, nessuno nelle Marche se l’aspettava. Dopo la disastrosa alluvione nella notte tra il 15 settembre e 16 settembre, la Regione conta i morti.
Undici al momento – secondo i dati della Prefettura di Ancona, in costante aggiornamento -, cui si aggiungono due dispersi, decine di feriti e centinaia di persone evacuate. Oltre a Senigallia, già segnata otto anni fa da un’alluvione, sono tanti i comuni delle province di Pesaro -Urbino e di Ancona colpiti dalla forza dell’acqua. Nelle diverse località sono stati segnalati ponti crollati, strade interrotte o inagibili, auto inghiottite dalla furia della pioggia e dai detriti, case allagate senza corrente elettrica. La violenza del fenomeno, inoltre, ha causato la tracimazione di numerosi corsi d’acqua minori, oltre al fiume Misa, di nuovo triste protagonista di morte e devastazione.
Un incubo destinato a rimanere impresso nella memoria dei marchigiani. Ci sono lacrime e bandiere a mezz’asta e ci sono le polemiche, su come è stata gestita l’opera di prevenzione e di sistemazione dei corsi d’acqua.
Ma ci sono anche la determinazione della gente a rialzarsi, la solidarietà delle Regioni più prossime. Ci sono i numeri, che rendono incredibile la cronaca di queste giornate: in quelle maledette tre ore, infatti, sono scesi 420 millimetri d’acqua, la metà di quello che piove in un anno nella regione; almeno centottanta i pompieri all’opera nell’area del nubifragio; più di centocinquanta gli interventi che sono stati effettuati per mettere in salvo in primis i più fragili.
È questo il “ritratto” funereo e magnifico delle Marche, che sanno bene cosa si significa rimboccarsi le maniche e ricostruire, a partire dalla carità concreta. In questo momento di dolore, che – ha detto mons. Francesco Manenti, vescovo di Senigallia – “ci chiede di evitare le polemiche e di farci vicini a chi è nel bisogno, garantendo una presenza discreta animata dalla preghiera”, la diocesi ha messo a disposizione lo spazio del Centro pastorale diocesano per accogliere un centinaio di sfollati. I volontari di Fondazione Caritas Senigallia si sono subito attivati per un’azione di prima accoglienza alle famiglie che hanno appena fatto in tempo a sfuggire al pericolo prendendo in braccio i figli e perdendo ogni avere.