Compromessa la stagione per l’agnello di Zeri

La chiusura del mattatoio e dei ristoranti rischia di innescare una crisi a lungo termine

Una giovane allevatrice zerasca conduce il suo gregge al pascolo
Una giovane allevatrice zerasca conduce il suo gregge al pascolo

Non sarà una Pasqua particolarmente positiva, quella degli allevatori di ovini di Zeri, riuniti dal 2001 nel Consorzio di valorizzazione e tutela della Pecora e dell’Agnello di razza Zerasca. L’epidemia di Covid-19 ha compromesso l’importante appuntamento con la macellazione degli agnelli. Ristoranti chiusi, clienti privati impossibilitati a spostarsi, ridimensionamento degli ordinativi da parte della grande distribuzione (il Consorzio vende il suo prodotto alla Coop delle Terrazze di La Spezia) sono gli indicatori di come l’epidemia inciderà sulla filiera ovina in uno dei periodi più importanti dell’anno. Oltre al mancato reddito, sui conti degli allevatori peseranno i maggiori costi dei capi non macellati, che dovranno continuare ad essere allevati. «Ma di fronte alla tragedia che sta colpendo famiglie e comunità, soprattutto nell’Italia del Nord, non ci si può davvero lamentare per gli affari che non vanno bene», racconta Cinzia Angiolini, allevatrice presidente e anima del Consorzio. Del resto, per la filiera dell’allevamento ovino a Zeri, la congiuntura negativa di questo periodo si somma a problemi che vengono da lontano e che stanno compromettendo in modo strutturale la possibilità degli allevatori di sviluppare la loro attività. Il primo di questi è l’assenza di un mattatoio: il più vicino, è quello di Pontremoli, adibito alla macellazione ovina dal 2011. Prima gli allevatori zeraschi dovevano recarsi a Pian di Follo, ad oltre un’ora di strada. Ma la scommessa «di un pugno di donne con i piedi sul territorio e la testa nel mondo,che su questa montagna avevano idee e progetti e grande voglia di cambiamento», come ci tiene a dire con orgoglio Angiolini, era quella di un mattatoio a Zeri.

Cinzia Angiolini, allevatrice e presidente del Consorzio di valorizzazione e tutela della Pecora e dell’Agnello di razza Zerasca
Cinzia Angiolini, allevatrice e presidente del Consorzio di valorizzazione e tutela della Pecora e dell’Agnello di razza Zerasca

Sembrava cosa fatta nel 2008, quandoRegione Toscana e Provincia di Massa Carrara finanziarono il progetto di mattatoio mobile proposto dagli allevatori, nel frattempo divenuti anche Presidio Slow Food. Ma una incredibile vicenda burocratica e amministrativa, arricchita di contenziosi e ricorsi giudiziari contro il Comune di Zeri, costretto dal Tribunale di Massa nel 2014 a risarcire il Consorzio e la Provincia, ha fatto sì che il macello mobile sia da 12 anni in un container inutilizzato. Una struttura moderna, in acciaio, che potrebbe permettere la macellazione dei capi in loco, secondo le normative sanitarie, permettendo di creare un marchio d’indicazione geografica e di sviluppare la filiera produttiva nel territorio zerasco. «È la politica con la p minuscola», prosegue Angiolini; «si preferisce continuare a macellare nei boschi o nelle case, si smaltisce il rifiuto della macellazione in fossi e canali, con ciò che ne consegue sul piano ambientale, si vende in nero, mentre chi, come noi, vende all’alta ristorazione in giro per il Centro-Nord Italia trova difficoltà di ogni tipo». Il Consorzio, dal quale ha preso vita a Rossano la cooperativa di comunità “Valli di Ziri”, ha idee di ben più ampio respiro: sviluppare una filiera corta locale legata alla pecora e alla valorizzazione delle biodiversità locali, recupero delle lavorazioni tradizionali della lana, che con il marketing digitale potrebbe favorire lo sviluppo locale, recupero della tradizione gastronomica legata all’utilizzo dei prodotti tipici, attività assistenziali e solidaristiche. Ma senza mattatoio, si tratta di progetti che fanno fatica a decollare. Secondo Angiolini è evidente che «la Lunigiana non è pronta a farsi carico di questo bisogno». Ad aggravare la situazione è il ritorno sull’Appennino ligure del lupo, che moltiplica i costi e gli sforzi dei pastori nella guardia, compromettendo anche la qualità del prodotto, quando i capi vengono ricoverati per molto tempo negli ovili. «Solo nel 2019 – prosegue l’allevatrice – due allevamenti hanno chiuso; complessivamente sono 5-6 le attività chiuse negli ultimi anni, danneggiate e scoraggiate dalle incursioni dei branchi. Degli oltre 2.500 capi presenti alla fondazione del Consorzio, ora ne sono presenti non più di 1.200». Sono numeri che fanno capire quanto sia a rischio quello che nei primi anni Duemila era indicato da molti come uno dei progetti “faro” per la rinascita economica della Lunigiana partendo dalla sua naturale vocazione rurale; un progetto che non può sostenersi solo sulla passione e sulla determinazione degli allevatori consorziati, ma che ha bisogno di una solida sponda istituzionale, a partire dagli enti locali, prima che l’allevamento della pecora zerasca sparisca del tutto. (Davide Tondani)