
Tutto tace intorno alle prospettive immediate del calcio minore, ma, stando a quanto succede nel mondo professionistico, logico pensare che non accadrà nulla perlomeno fino alla fine di aprile, se non oltre. Esiste, però, anche a questi livelli, seppure in misura molto minore, il problema economico perché anche le Società dilettantistiche devono fare i conti con gli stipendi dei giocatori e, quindi, con bilanci destinati chiaramente a tracollare nel breve, con la prospettiva che il nostro calcio subisca un ulteriore ridimensionamento.

Potrà sembrare strano ma è bastato vivere per un lungo frangente quasi nel più completo isolamento per arrivare a rimpiangere anche i momenti tribolati che riusciva ad offrirci il nostro calcio. Certo, stiamo subendo una situazione che va ben oltre i limiti del paradosso e crediamo siano ben poche le persone che possano ricordare qualcosa di simile anche pensando agli anni della guerra, sebbene la situazione fosse completamente diversa, specie a livello organizzativo. L’unica cosa che ci avanza, per non pensare ai guai cui stiamo assistendo e che non ci sono certo estranei, visto quanto sta succedendo giorno per giorno, è lasciarsi andare a pensieri i più diversi, di quelli che, in un modo o nell’altro, ti facciano sorridere o, comunque, ti facciano riflettere ma su cose di poca importanza, almeno nella sostanza reale. Così, ci siamo trovati a chiederci cosa potrà costare in termini concreti una vicenda come quella che stiamo vivendo per il nostro mondo sportivo, pur nella sua dimensione decisamente minore rispetto alle cifre macroscopiche che si sentono sparare per il mondo professionistico. Diciamo che il problema non è certo da sottovalutare perché, fatte le dovute differenze, proprio in senso materiale, l’impegno delle piccole società, in termini concreti, non si differenzia molto da quello delle grandi società. Là servono tanti soldi e tanti soldi girano, qui servono pochi soldi e pochi soldi girano, ma anche quei pochi sono difficili da trovare e gli impegni presi pesano alla stessa maniera, pur nella dovuta dimensione. Il tutto, per dire cosa! Qualunque sia il livello in cui si trova inserita una qualsiasi delle nostre Società calcistiche è evidente che ci sono dei costi non solo organizzativi, ma anche di sussistenza, non ultimi quelli legati ai compensi da dare ai giocatori che, più si sale di livello, più vengono ad incidere sulla dimensione di risorse non certo esaltanti. Qualcuno dirà che se si tagliano gli stipendi ai giocatori professionisti non si vede perché non lo si possa fare anche tra i dilettanti. Però, occorre pensare che mentre ai livelli più alti il taglio in pratica non significa nulla in termini reali, in basso a volte diventa un problema di sussistenza, se non il tramite per fare la differenza nel sociale e, quindi, per molti atleti dà il senso alla logica corrispondenza di sacrificarsi per esprimersi in contesti che non lasciano margini di prospettiva, ma diventano proprio solo occasioni di guadagno provvisorio, finora certo e garantito. Insomma, diventa difficile pensare che il quadro che si sta creando nel nostro panorama possa essere affrontato semplicemente dicendo: non si gioca, non ci si allena, quindi niente stipendio! Più che probabile che le Società siano nella necessità di valutare attentamente caso per caso le situazioni che devono affrontare, primo per non rischiare di compromettere un rapporto di collaborazione che, interrotto a questo punto della stagione, potrebbe pesare non poco sulle vicende future, secondo per non deludere attese che sono state alla base della costruzione del rapporto e, quindi, sottendono oltre che un impegno materiale, anche un impegno morale. Insomma, un bel dilemma al quale non sapremmo dare una qualche risposta plausibile perché ovviamente il tutto dipende dalla serietà di chi gestisce le singole situazioni, dagli obiettivi che siano stati prefissati in precedenza e dalle convenienze reali con le quali occorrerà prima o poi fare i conti in base all’impostazione data alla gestione della vicenda. Di certo, la prospettiva più razionale ed ipotizzabile è che il nostro calcio ne esca con le ossa ulteriormente fracassate.

Non è improbabile, infatti, che molti dirigenti, specie di quelle squadre che non abbiano più niente da chiedere alla stagione, o che non abbiano specifici programmi in bilancio per tenere viva la questione, decidano di lasciare correre e di interrompere l’esperienza in attesa di tempi migliori. Questo potrebbe significare che la già risicata pattuglia delle nostre squadre, al momento soltanto dodici distribuite su quattro campionati, per altro già ridotta nel numero dalla defezione del Barbarasco, si trovi di fronte ad ulteriori abbandoni abbondantemente giustificati proprio dalla mancanza di motivazioni anche sociali, specie se il tener duro possa significare aprire vuoti di bilancio difficilmente sanabili nel breve. Una preoccupazione che dovrebbe coinvolgere rapidamente la dirigenza provinciale e regionale del Calcio per impedire un ulteriore tracollo di presenze di squadre attive nella Lunigiana, ma non solo, tracollo che ci porta a pensare ai grandi momenti di gloria della nostra terra che nell’ultimo ventennio del secolo scorso arrivò a far scendere in lizza nei vari campionati qualcosa come 28 squadre, come dire più di una ogni Comune anche se l’esubero era dovuto a realtà come Fivizzano, Pontremoli e Aulla che giunsero a schierare chi quattro, chi cinque squadre in una competizione territoriale carica di agonismo ma anche di significati di altra natura come quello di incentivare la partecipazione della nostra gioventù all’attività sportiva. Basti pensare che eravamo in grado di fare organizzare un torneo di Terza categoria a sedici squadre fatto solo di formazioni provinciali. Momenti davvero memorabili che se non permisero mai un vero e proprio salto di qualità di una qualche formazione proprio per la frantumazione delle risorse, fecero sì che si promuovesse un’azione organizzativa nel settore giovanile che è ancora chiaramente positiva anche tutt’oggi ed è forse il momento più esaltante del settore. Quindi, proprio nella considerazione degli effetti nefasti che il momento drammatico che stiamo vivendo potrebbe provocare, sarebbe opportuno che chi si trova ai vertici del sistema, in particolare in ambito provinciale, ma guardando anche alle province limitrofe con le quali condividiamo l’esperienza sportiva, avviasse un’azione concreta per valutare l’opportunità di fare sostenere in qualche modo le diverse società con incentivi parametrati alla collocazione nei diversi campionati proprio per evitare che le difficoltà del presente si pongano come punto di arrivo per l’esperienza di molte società, specie di quelle ricostruite di recente, impedendo che la Lunigiana continui ad impoverirsi per motivazioni eminentemente economiche. Qualcuno dirà che i problemi della Lunigiana e del resto del territorio provinciale sono ben altri, ma riteniamo sia giusto riflettere anche in merito a situazioni come quelle che viene proponendo il mondo dello sport, comunque inteso, affinché non siano trascurate o dimenticate, perché una terra, qualunque sia il dramma che sta vivendo, ha bisogno di salvaguardare la propria identità che, guarda caso, in molte situazioni, è proprio l’evento sportivo a fare ritrovare, provocando gli stimoli e la forza per rialzare la testa e tornare a guardare avanti, ripristinando quel senso della collettività che i timori del presente possano avere smorzato, ma che nella competizione tornano a rinfocolarsi.
Luciano Bertocchi