
Il punto sulla demenza senile: un convegno a 25 anni dall’apertura del Centro Diurno Alzheimer di Villafranca.

Le persone vivono più a lungo e la demenza continua ad aumentare con un impatto profondo sulla qualità della vita di chi ne è affetto e delle loro famiglie. Di questo si è parlato lo scorso 3 aprile, in occasione dei 25 anni dall’apertura del Centro Diurno Alzheimer di Villafranca, in un interessante convegno organizzato dalla Società della Salute della Lunigiana e in cui si è fatto il punto sulla rete dei servizi dedicati alla demenza.
I centri diurni sono strutture semi-residenziali a valenza sociale e sanitaria, iscritti nei Livelli Essenziali di Assistenza. A quello di Villafranca aperto nel 2000 si sono aggiunti quello di Pontremoli nel 2005 e di Pognana di Fivizzano nel 2010. Ospitano ognuno fino a 10 persone, sono aperti dalle 8 alle 18, da lunedì a sabato, e rappresentano una realtà importante per la Lunigiana. Sono finalizzati all’assistenza temporanea e al trattamento di persone con diagnosi di demenza associata a disturbi del comportamento di livello significativo e di difficile gestione a domicilio. Favoriscono la permanenza della persona malata nel contesto sociale e sostengono l’impegno della famiglia facilitando la gestione appropriata del percorso clinico e assistenziale.
È necessario ridurre l’isolamento sociale del paziente e dei suoi famigliari determinato dalla malattia
Enrico Mossello, docente di geriatra all’Università di Firenze, ha evidenziato come questi centri siano efficaci nel ridurre lo stress di chi si occupa della cura dei pazienti (“caregiver”), attenuare i disturbi del comportamento, moderare l’uso dei farmaci, conservare più a lungo l’autonomia, migliorare la presa in carico della malattia, favorendo infine la socializzazione dei pazienti e dei famigliari.
La presa in carico in toto della persona e della famiglia è una scelta assistenziale confermata dalla geriatra Carolina Mobilia, responsabile dell’ambulatorio per i disturbi cognitivi e le demenze di Aulla. Per questo i piani assistenziali, la stimolazione cognitiva, l’animazione e le attività occupazionali sono personalizzati. “Cerchiamo di farli essere quello che ancora ricordano – dice un’operatrice – adattando le attività al vissuto della persona”.
Gli operatori sono il punto di riferimento per i famigliari e per questo nella rete dei servizi è stato integrato un “Caffè Alzheimer”, uno spazio di aggregazione, aperto da un anno a Terrarossa presso l’associazione Oasi della Felicità, rivolto in particolare ai famigliari, ai caregiver ed a tutti gli interessati. Realizza gruppi di discussione e incontri su stili di vita, mantenimento delle funzioni, strategie comunicative e gestione dei disturbi del comportamento.
Con il supporto di due psicologhe la convivialità si unisce all’informazione mentre la relazione promuove consapevolezza e previene l’isolamento sociale. Si mira a favorire l’accettazione sociale della malattia ma anche a renderla visibile, educando a interagire con le persone con demenza. Intorno a questa malattia c’è un alone di stigma, pregiudizi sociali e disinformazione, che ostacolano il sostegno, limitano l’accesso ai servizi e alimentano l’isolamento.
In questo disagio le persone colpite ed i loro cari riducono sovente le proprie interazioni sociali rinunciando alle abituali frequentazioni. “Sotto i ricordi che la malattia dissolve rimane l’amore” dice un’altra operatrice, ma questo a volte non basta ad evitare lo stress derivato dal carico assistenziale. Un peso più spesso lasciato sulle spalle delle donne con conseguenze sul lavoro e sul sistema famiglia. Servono spazi di dialogo, relazione, condivisione di conoscenze ed esperienze, costruzione di una comunità più informata e accogliente che abolisca le distanze prodotte dalla malattia.
(Severino Filippi)
Verso un progetto-pilota di solidarietà sociale per la demenza in Lunigiana
Secondo Peter Whitehouse, neuroscienziato, tra una persona e la malattia Alzheimer ci devono stare almeno 7/8 persone preferibilmente non famigliari, evocando la necessità di distribuire il carico assistenziale e ricostruire i rapporti sociali. Oggi i centri Alzheimer vogliono aprirsi alla società e chiedono a questa un cambiamento culturale.
Poiché l’isolamento sociale è di per sé un importante fattore di rischio che se venisse eliminato ridurrebbe i casi di demenza del 5%, ma è anche un fattore di aggravamento delle prestazioni cognitive nei pazienti che presentano già una demenza. “Ripensare al valore della comunità e delle relazioni sociali, per costruire una comunità consapevole e solidale per la demenza” è allora l’invito di Manlio Matera, presidente dell’Associazione Italiana Malati di Alzheimer (AIMA) che propone di avviare proprio in Lunigiana un progetto di solidarietà sociale per la demenza. Prevede due settimane dedicate a tre temi: consapevolezza e conoscenza, accettazione della diversità, solidarietà. Così si fa progresso sociale e culturale.
E Marco Formato, direttore della Società della Salute, ha accettato la proposta. Occorre che la società sia “protesica”, atta a creare un ambiente in grado di sostenere una funzione danneggiata. C’è sempre spazio per prendersi cura della persona, per stimolarne le abilità residue, per accompagnarla con la maggior serenità possibile durante il percorso e anche per arricchirsi umanamente con questa esperienza di accompagnamento e sostegno. “Time”, una canzone di Tom Waits, dice: “…e le loro memorie sono come un treno, puoi vederlo diventare sempre più piccolo mentre si allontana”. Non lasciamo che quelle memorie si allontanino da sole. (s.f.)