
In dieci anni i negozi specializzati nel settore alimentare sono calati del 26% con 46 negozi aperti in meno rispetto al 31 dicembre 2013. Calo che c’è anche nei forni ma più contenuto. Forse dovuto anche ad una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori

Una firma per non far chiudere un panificio. è quello che è successo a Pontremoli, con i clienti del forno “Non solo pane” che hanno indetto una raccolta di firme per chiedere ai proprietari del panificio di rivedere la loro idea di appendere pale, forni e farine al chiodo, e di mantenere vivo il loro esercizio.
Una dimostrazione di affetto (che per il momento pare avere sortito l’effetto desiderato) che del resto diventa esplicito nella coda che la clientela deve spesso compiere prima di poter accedere al negozio, specie nei giorni di mercato. Ovviamente questa vicenda ci offre lo spunto per analizzare la situazione di quelli che vengono definiti i “negozi di prossimità”, che rappresentano per un territorio luoghi importanti sia dal punto economico ma anche sociale, con un rapporto diretto che non si può creare con la grande distribuzione.
Del resto è indubbio che il rapporto consumatore – esercente sia diretto quando si ha a che fare con una piccola realtà, che punta tutto sulla qualità per fidelizzare il cliente.
I dati della Confcommercio: in 10 anni nel nostro comprensorio netta la diminuzione delle macellerie (-33%), negozi di ortofrutta (-41%) e alimentari (-45%)
Osservando i dati della Confcommercio che ci offre uno spaccato su come è cambiato il commercio al dettaglio in Lunigiana, operando un raffronto tra la situazione al 31 dicembre 2013 e quella di dieci anni esatti dopo, il 31 dicembre 2023, c’è stato un calo del 26% (-46 negozi da 176 a 130) per quanto concerni i negozi specializzati nel settore alimentare.
Un dato che trova particolare riscontro in alcuni settori, come quello della carne, con 31 negozi aperti alla fine del 2023 a fronte dei 46 attivi al 31 dicembre 2013 (-33%). Del resto la crisi delle macellerie, assorbite dal reperto carni dei supermercati, è un fenomeno di lunga data che prosegue ormai da tempo.
Anche se in realtà la diminuzione percentuale più alta è quella dell’ortofrutta con i “verdurai” che sono calati da 37 a 22, con una diminuzione percentuale del 41% ed ancora più alta è quella degli alimentari (-45%) scesi da 11 a 6. Proprio quelle “botteghe” che molto spesso hanno rappresentato l’ultimo presidio in tante nostre piccole frazioni prima di cedere di fronte al travolgente passo dell’abbandono e del calo demografico della montagna. In calo anche i negozi di pesce (cui si può replicare il concetto espresso per le macellerie) con i pescivendoli che sono calati da 10 a 6, con una diminuzione del 40%.
Più contenuto il calo dei panifici (-17%)
Tornando al settore da cui eravamo partiti, ovvero quello della panificazione, i forni hanno “tenuto botta” in questo decennio con un calo di sole due unità (da 12 a 10) anche se percentualmente comunque significativo (-17%).
Sul fatto che comunque i fornai locali siano riusciti ad arginare la crisi ha sicuramente influito, in un’epoca di crescente attenzione verso prodotti alimentari sani e di qualità, il concetto che la scelta del pane è un momento decisivo della routine d’acquisto. E quindi si accetta anche la “fatica” di aggiungere una deviazione per compiere un acquisto più consapevole e con il proprio fornaio di fiducia.
Del resto il consumatore non è più quello di 20 anni fa, negli ultimi 15 anni il suo consumo è cambiato di nuovo, segnando una leggera contrazione, ma sostanzialmente il pane resiste alla crisi e si conferma come uno degli alimenti più presenti sulle tavole.
Molte cose sono cambiate nella realtà della panificazione, partendo dalle varietà oggi in commercio: se una volta andando dal panettiere si doveva scegliere tra due o tre tipi di pane, oggi ci si trova di fronte a decine di tipi. Per non parlare di quello che è al di fuori del pane, ovvero pizze, pizzette, focacce, brioches, pasticceria secca ecc., che rappresentano la vera fonte di guadagno per questa attività. Di conto però aumenta la concorrenza dei supermercati, che stringono in una morsa le scelte imprenditoriale dei panettieri.
La difesa dei piccoli negozi di prossimità
In quest’ottica acquistare il pane dal panificio artigianale locale significa sostenere le attività produttive del proprio territorio. Anziché alimentare i grandi gruppi della grande distribuzione, si può scegliere di investire direttamente nelle piccole e medie imprese della propria comunità. Questo approccio favorisce l’economia locale, preserva l’identità e la tradizione culinaria del luogo, e crea posti di lavoro.
In un’epoca in cui l’omologazione e la globalizzazione rischiano di appiattire la diversità, scegliere il negozio di quartiere assume un valore etico e sociale aggiunto che può valorizzare un territorio.
(Riccardo Sordi)