Pio XI, pontefice tra i nascenti totalitarismi

Il brianzolo Achille Ratti (1857-1939), già Arcivescovo di Milano, fu il Papa del Giubileo del 1925

Achille Ratti (1857-1939), Papa Pio XI dal 1922, in un’immagine del fotografo tedesco Nicola Perscheid poco dopo la sua elezione

Un Papa tra le due guerre mondiali, a capo della Chiesa in un momento di svolta della storia: Pio XI (1922-1939), al secolo Achille Ratti, fu il primo Papa del “secolo breve”, nella fase in cui i totalitarismi comunisti e fascisti prendevano forma.
Sarebbe affrettato un giudizio storico basato sull’indole conservatrice di un Papa che definì Mussolini “uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”. La sua figura va contestualizzata nel pensiero cristiano e nella complessità di quel tempo.
Una Chiesa che nel corso dell’Ottocento era stata messa in discussione dal liberalismo illuminista e dal socialismo, solo a partire dal 1891, con la Rerum Novarum di Leone XIII, aveva ricominciato a rielaborare un proprio magistero sociale tentando di incorporare le “cose nuove” di quei decenni – la questione sociale, il progresso tecnico, la fine del potere temporale – in un ideale di società cristiana ispirato al corporativismo medievale: un fragile tentativo di contemperare una lettura della realtà del tempo e la paura di una congiura ordita ai danni della Chiesa da bolscevichi, ebrei e massoni, in un clima in cui le correnti cattoliche fautrici di un maggiore aperturismo erano destinatarie di estrema diffidenza e facili condanne di modernismo. Pio XI si mosse in questo contesto.

Papa Pio XI

Nella sua prima enciclica Ubi arcano (1922) affermò che la lotta di classe era il peggior male per la società dell’epoca e che le democrazie liberali erano meno in grado di altri regimi di reggere l’urto delle sovversioni. Considerazioni che, due mesi dopo l’arrivo del fascismo italiano al potere, si caricarono di un significato particolare, anche alla luce della scelta di abbandonare a se stesso il PPI sturziano, mentre non pochi movimenti cattolici europei diedero sostanza a linee politiche che rasentavano l’autoritarismo.
L’atteggiamento del Papa nei confronti del fascismo trovò riscontro nei confronti di altri regimi autoritari come quello di Dolfuss in Austria, di Salazar in Portogallo, di de Rivera prima e Franco poi, in Spagna, fino all’iniziale acquiescenza nei confronti dell’ascesa di Hitler. Papa Ratti era persuaso che simili regimi potessero divenire strumenti efficaci per la realizzazione di società cristiane, corroborati da una comune visione rispetto alle libertà moderne, all’economia o ai rapporti di genere.
Molteplici furono le intese con quei sistemi politici. I Patti Lateranensi con il Regno d’Italia ne furono l’esempio più evidente. Ma l’atteggiamento di Pio XI nei confronti dei fascismi diffusisi in Europa mutò nel tempo. La necessità dei regimi totalitari di assicurarsi il controllo politico e culturale delle masse confliggeva con gli ideali di società cristiana propugnati dalla Chiesa.
Esemplari furono le tensioni conseguenti allo scioglimento dei circoli di Azione Cattolica nel 1931 e la netta condanna, con l’enciclica Mit brennender sorge del 1937, del neopaganesimo tedesco e dell’idolatria della razza. I regimi autoritari erano un pericolo e non l’opportunità per la ricostruzione di una società cristiana. Pio XI, nel finire del suo pontificato, lo comprese molto meglio dei suoi più stretti collaboratori e di molti cristiani: proprio per questo, i tempi per l’elaborazione di un nuovo rapporto tra Chiesa e mondo contemporaneo erano ancora lontani.

Davide Tondani