
Riduzione dei rifiuti urbani, differenziata al 75% nel 2028, 39 nuovi impianti in regione. Firenze accelera sulla gestione dei rifiuti. Ma non mancano dubbi e opposizioni popolari. Come nel caso del digestore di Massa
La Toscana prova a migliorare l’efficienza del ciclo di smaltimento dei rifiuti.
A oltre 10 anni dall’approvazione dell’ultimo piano regionale per la gestione dei rifiuti e la bonifica, il Consiglio regionale ha approvato un nuovo piano, denominato Piano dell’economia circolare (Prec).
L’assessora all’ambiente, Monia Monni, ha spiegato che gli obiettivi principali del piano includono la riduzione dei rifiuti urbani del 5% rispetto al 2019, il miglioramento delle raccolte differenziate con l’obiettivo di raggiungere il 75% di differenziata entro il 2028 e l’82% al 2035 e la riduzione dei rifiuti avviati a discarica al di sotto del 10%. Sono obiettivi in parte legati al nuovo quadro normativo europeo e italiano che vanno valutati rispetto alla situazione esistente. Nel 2022 la raccolta differenziata in regione era del 65,6%, con un tasso di riciclo effettivo – non tutta la differenziata può essere riciclata – del 52,1%. E la quota rimanente? L’11,6% dei rifiuti urbani totali va alla creazione di energia, e il 30,7% va in discarica, il resto sono perdite di processo e flussi a depurazione.

Se questi dati rappresentano il punto di partenza del nuovo piano regionale, in che modo Firenze pensa di traguardare i nuovi obiettivi? Principalmente prevedendo l’entrata in funzione, entro il 2028, di nuovi impianti per il riciclo e il recupero. Fino ad allora, si ricorrerà ai 44 impianti esistenti, comprese le 9 discariche in funzione sul territorio regionale. I nuovi impianti previsti sono 39, frutto di altrettanti progetti privati, selezionati durante una raccolta di manifestazioni di interesse; diverse di queste iniziative riguardano flussi specifici di rifiuti, da quelli industriali alle schede elettroniche, dai pannolini ai rifiuti spiaggiati, in un’ottica di sviluppo dell’economia circolare.
Tra questi, 12 impianti sono già stati realizzati o sono in fase di realizzazione, mentre 7 sono in fase di autorizzazione. Dal sito della Regione si desume che nessuno dei 19 impianti è sito in Lunigiana. Sta proprio nei nuovi impianti la chiave di volta del piano regionale. Secondo i tecnici del settore la loro realizzazione consentirebbe il raggiungimento degli obiettivi. Ma come è prevedibile il percorso non sarà facile, tra problemi autorizzativi, timidezze elettorali degli amministratori locali, opposizioni popolari sui territori.
Da questo punto di vista, nelle cronache di questi giorni è tornato alla ribalta il tema del biodigestore di Massa, che il Cermec intende costruire nella Zona Industriale Apuana: un progetto da 97.500 le tonnellate all’anno di frazione organica (principalmente scarti alimentari e da sfalci e potature) proveniente da oltre 100 comuni dell’Ato Toscana Costa, compresi quelli lunigianesi, che verranno lavorate per produrre gas metano nella parte anaerobica e compost nella parte aerobica. Fin dai primi mesi del 2023, quando il progetto è stato annunciato, diversi comitati locali, riuniti in rete, hanno dato battaglia circa l’impatto locale dell’impianto, progettato in un sito da sottoporre a bonifica a causa delle pesanti contaminazioni a cui è sottoposta parte della Zona Industriale Apuana.
Il digestore determinerebbe inoltre forti maleodoranze, rumori, aumento dei mezzi di trasporto (con conseguente traffico e inquinamento) e richiederebbe un forte consumo idrico. L’ultimo atto della battaglia dei comitati è della settimana scorsa. In una lettera aperta ai sindaci di Massa e Carrara, i comuni soci del Cermec, i comitati hanno promesso di “di agire nelle sedi competenti per tutelare i nostri diritti di cittadini e contribuenti”. Sotto accusa, oltre agli aspetti inquinanti e legati alla sicurezza dei cittadini, anche la governance di questi impianti, attorno ai quali rilevano “il proliferare di società miste private-pubbliche a cui vengono conferiti i servizi di gestione rifiuti” che “sta creando dei centri di monopolio territoriali che non mirano all’efficientamento dei servizi per i cittadini ma piuttosto al ritorno economico per il gestore. Le tariffe, sia pur controllate da Arera, consentono loro di recuperare tutti i costi sostenuti, anche quelli attribuibili alle loro inefficienze e garantisce il margine lordo di impresa senza condizionarlo ad alcun obiettivo che salvaguardi l’interesse dei cittadini”. (d.t.)