
Il primo editoriale da direttore…
Nel novembre 1999 Antonio Ricci viene nominato direttore del nostro settimanale. Succede a Giulio Armanini e conserverà l’incarico fino alla sua scomparsa. Questo l’editoriale con il quale, nel numero del 6 novembre, si presenta ai lettori del Corriere Apuano.
Un giornale libero e schierato dalla parte della gente

Tocca ora a me “prendere la parola”, dopo che il mio predecessore ha salutato i lettori, cessando, così, un incarico ricoperto per lungo tempo con capacità ed impegno.
È impossibile nascondere l’emozione di chi, dopo aver scritto per tanti anni sul nostro glorioso settimanale da semplice collaboratore, si ritrova a dirigerlo, sia pure, è bene chiarirlo subito, rimanendo un volontario tra gli altri e mantenendo il carattere collegiale, per quello che riguarda l’impostazione di fondo del giornale. Ciò non significa venir meno alle responsabilità personali, ma dare il giusto riconoscimento a coloro che settimanalmente seguono più da vicino la preparazione del “Corriere Apuano”.
Non è mia intenzione fare grandi proclami; il proposito e l’obiettivo sono quelli di riprendere la strada del miglioramento qualitativo e del potenziamento delle attenzioni riservate alle vicende del nostro territorio. Fatto non scontato e non facile perché non viviamo in una zona ricca di avvenimenti e, inutile nascondercelo, da noi le tensioni politiche rischiano spesso di far degenerare in rissa ciò che normalmente sarebbe una semplice, civile, divergenza di idee.
Il titolo di questo fondo dice con chiarezza del desiderio di mantenere una continuità non solo con la precedente direzione, ma anche con la caratteristica battagliera che ha sempre contraddistinto la nostra testata.

Libero “Il Corriere Apuano” lo è e lo è stato grazie alla lungimiranza della proprietà, in concreto dei vescovi che si sono succeduti alla guida della Diocesi, che hanno capito l’importanza di uno strumento capace di stimolare (strigliare, a volte) quanti, impegnati nella gestione della cosa pubblica la ritengono di esclusiva competenza degli addetti ai lavori. Libero vuole esserlo sempre di più, soprattutto in un momento in cui, essendo venuti meno per i cattolici certi punti di riferimento, molti ambirebbero al titolo di nuovi referenti.
Schierato un giornale deve esserlo e ciò non significa necessariamente “di parte” in senso negativo. Leggere la realtà per darne un’interpretazione alla luce delle proprie idee è l’impegno di chi fa giornalismo con il nostro spirito. Non si può accettare tutto ed il contrario di tutto, né si può tacere per paura. Schierarsi dalla parte della gente, di questa gente di Lunigiana, a lungo sfruttata e blandita con promesse spesso non mantenute, è il minimo che può fare chi svolge questa attività in spirito di servizio.
Ringrazio Mons. Binini che ha voluto mantenere un laico alla direzione del giornale e mi ha ritenuto capace di assolvere questo compito non facile; cercherò di rispondere adeguatamente alla sua dimostrazione di fiducia ed agli attestati di stima che in questi giorni mi sono giunti da parte di molti.
… e l’ultimo contributo
Dall’ospedale, dove aveva iniziato un periodo di degenza per alcuni controlli che si erano resi necessari, Ricci segue con la consueta passione ciò che accade nel mondo ed scrive questo editoriale. Sarà il suo ultimo scritto per il nostro settimanale. Il titolo e le ultime righe riassumono l’impegno di una vita per dare voce al valore della pace.
La pace è la sola via di salvezza

È un piacere contribuire alla diffusione della lettera che il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, ha rivolto alla sua diocesi, a proposito della pesante situazione di questi giorni, che ha rimesso in crisi i rapporti tra israeliani e palestinesi, assicurando preghiera e impegno per mettere fine al conflitto.
Da quando la crisi è deflagrata, ogni riflessione è stata analizzata in base ai contenuti per cercare di capire se fosse pro o contro una delle due parti; cosa anche comprensibile per l’efferatezza dell’assalto perpetrato da Hamas nei confronti di uomini, donne e bambini inermi.
Il card. Pizzaballa, però, nella lettera indirizzata ai fedeli della sua diocesi – ma anche a tutti i cattolici e agli uomini di buona volontà in generale – supera quel rischio andando oltre i torti e le ragioni contingenti, invitando quanti sono coinvolti in questa tragedia ad abbandonare la via della violenza e della guerra per cercare la via della pace. Un
impegno non facile perché, nell’immediato, l’idea di rispondere alla violenza con altra violenza sembra ai più l’unica sostenibile.
Pizzaballa, però, afferma che “in questo frastuono in cui il rumore assordante delle bombe si mischia con le tante voce di sofferenza”, è necessario ricordare e ritornare al Vangelo. Toccano il cuore – e speriamo che giungano anche ai cuori di chi sta continuando a combattere – le parole del passaggio centrale del documento, che meritano di essere riportate integralmente.

Pizzaballa afferma che è sua coscienza e dovere morale “affermare chiaramente che, quanto è accaduto il 7 ottobre nel sud di Israele con gli attacchi di Hamas, non è in alcun modo ammissibile e non possiamo che condannarlo”. “Non c’è alcuna ragione per una simile atrocità”, ha affermato, “e abbiamo il dovere di affermarlo e di denunciarlo”.
“L’uso della violenza non è compatibile con il Vangelo e non porta alla pace”, perché, “la vita di ogni persona umana ha pari dignità davanti a Dio, che ci ha creati tutti a sua immagine”.
“La stessa coscienza, con un grande peso sul cuore, mi porta oggi ad affermare con altrettanta chiarezza che questo nuovo ciclo di violenza ha portato a Gaza oltre cinquemila morti, tra cui molte donne e bambini, decine di migliaia di feriti, quartieri rasi al suolo, mancanza di medicine, di acqua e di beni di prima necessità per oltre due milioni di persone. Sono tragedie che non possono essere comprese e che abbiamo il dovere di denunciare e condannare senza riserve. I continui e pesanti bombardamenti che da giorni si abbattono su Gaza non faranno che causare altra morte e distruzione e aumentare l’odio e il risentimento. Non risolveranno alcun problema, ma ne creeranno di nuovi”.
Parole che, superando la domanda meschina: “Ma tu da che parte stai?”, sono le sole che possono aprire il mondo alla speranza di una pace che non sia solo assenza di guerra.