
La tutela dei prodotti tipici della Lunigiana: il caso del testarolo. A colloquio con due produttori locali. L’assenza di una tutela giuridica, il crescente interesse per il prodotto, le possibili ricadute in termini di reddito e di occupazione sul territorio.

Identità e tradizione: il testarolo è uno dei prodotti più rappresentativi della cucina lunigianese. Nel panorama gastronomico locale, tuttavia, non gode di alcuna forma di tutela giuridica, come è emerso dalla rassegna sui prodotti tipici locali pubblicata due settimane fa sul nostro settimanale. Niente DOP o IGP per un prodotto che caratterizza la cucina di gran parte della Val di Magra, ma solo l’iscrizione tra i Presìdi Slow Food nella versione del “testarolo pontremolese”. Delle ulteriori potenzialità di sviluppo di questa espressione della cucina povera lunigianese abbiamo discusso con due produttori professionali, che convergono su una tesi: i margini per una promozione ancor più ampia ci sono. Con concrete ricadute in termini di rafforzamento della filiera locale di produzione, dalla coltivazione del grano autoctono fino alla commercializzazione del prodotto finito, generando reddito e occupazione.
La riflessione di Dario Balestracci e Michelangelo Benelli

A confermarlo sono sia Dario Balestracci, titolare di Testarolando, giovane impresa condotta assieme a Lucrezia Modica a Scorano di Pontremoli, sia Michelangelo Benelli, fondatore oltre dieci anni fa di Lunigiana Preziosa, a Santa Giustina, sempre a Pontremoli.
Si tratta di due produttori molto diversi tra di loro. Testarolando è una delle due imprese locali che producono il testarolo pontremolese secondo il disciplinare Slow Food: dalla cottura a legna nella ghisa all’impiego di farina locale, per una produzione artigianale di 7-800 testaroli alla settimana. Lunigiana Preziosa, con i suoi dieci addetti, è orientata ad una distribuzione su larga scala, producendo e commercializzando 500 mila pezzi all’anno. I due imprenditori riconoscono che il testarolo è un prodotto conosciuto fuori dai confini della Lunigiana, ma non ancora abbastanza o quanto altri prodotti affermatisi a livello nazionale ma nati come locali.
Ma c’è un problema: la fatica nel mettere in campo azioni condivise. Perchè servono iniziative coordinate per aiutarne la crescita

A mancare, per ora, è stata una vera e propria promozione su ampia scala. «La promozione è affidata all’iniziativa dei singoli, sostanzialmente attraverso internet», secondo Balestracci, che in queste settimane ha ricevuto un forte ritorno di immagine attraverso un video prodotto da Lunigiana World. Ciò nonostante, anche grazie all’impulso dato dall’adesione al disciplinare Slow Food, ha ricevuto richieste dalla Francia e dal Portogallo. Benelli, uno dei tre produttori di grandi dimensioni della Lunigiana, ritiene che un’affermazione definitiva del testarolo sul mercato nazionale passa, come per altri prodotti che hanno oramai consolidato la loro presenza oltre il loro contesto locale, per investimenti promozionali «che richiedono ingenti risorse finanziarie e quindi dimensioni non piccole» e per forme di tutela del marchio: «da questo punto di vista un DOP o un IGP sarebbero molto utili».
Il tema, apprendiamo, non è nuovo tra gli operatori del settore. E non è detto che non si possa realizzare nel medio termine; in una Lunigiana in cui, ammettono sia Benelli che Balestracci, si sconta la fatica nel mettersi assieme per raggiungere scopi comuni, nel corso di quest’anno c’è stato su questo tema un primo confronto tra gli operatori.
è un rischio l’arrivo di una grande azienda che decidesse di commercializzarlo su larga scala?
Ma nel frattempo, cosa accadrebbe se un grande player nazionale dell’alimentare decidesse di commercializzare su larga scala il testarolo ancora privo di tutele giuridiche? «Sarebbe una promozione del testarolo che non potrebbe che fare bene e dal quale avremmo ricadute positive, analogamente ad altre esperienze del settore food», asserisce Benelli. «Anche i produttori locali come me potrebbero trarne beneficio in termini di volume di vendite», prosegue il titolare di Lunigiana Preziosa, che è già presente nei punti vendita di diverse catene della grande distribuzione nel Centro-Nord. Ma non solo: «quante persone in più, in un contesto di crescita del turismo enogastronomico, potrebbero dirigersi in Lunigiana per mangiare sul posto il testarolo conosciuto nei supermercati?» continua Benelli.
È una domanda che interpella soprattutto un piccolo produttore come Testarolando. «Si aprirebbero spazi più ampi per la produzione di nicchia, il cui naturale sbocco sarebbe quello della ristorazione, che andrebbe ad offrire un prodotto percepito come di maggior valore, quindi vendibile ad un prezzo superiore, soprattutto se garantito da un disciplinare e da un marchio di qualità». Insomma, un’eventuale concorrenza non spaventa i produttori. Gli spazi di crescita per il testarolo ci sono, si tratta di occuparli, sviluppando una strategia coordinata tra tutti gli attori della filiera.
(Davide Tondani)