
Nella confusione di questi tempi avversi non si può ignorare un pensiero di Anna Maria Ortese, scrittrice fra le prime, purtroppo sconosciuta o dimenticata: “Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. È tornare a casa. Lo stesso che leggere. Chi scrive o legge realmente, cioè solo per sé, rientra a casa; sta bene. Chi non scrive o non legge mai, o solo su comando, – per ragioni pratiche – è sempre fuori casa… È un povero, e rende la vita più povera”.
La chiarezza rende superfluo ogni commento. Ma tre parole ci fanno comprendere quanto la nostra vita si svolga lontano dai presupposti che ci permetterebbero di “star bene”, nel senso più nobile che il termine può avere. Star bene significa cercare la calma per prendersi cura di sé. Oggi, invece, tutto è eccitazione e frenesia. Si teme il silenzio e la solitudine, quasi fossero portatori di insopportabile noia. La mutazione genetica è quasi irreversibile. Così le pagine di diario restano bianche, i taccuini (piccoli zibaldoni) sono vuoti di riflessioni utili per capire sé stessi e il mondo, e forse anche i temi scolastici sono zeppi, non sempre, di luoghi comuni. È pur vero che si scrivono montagne di romanzi e poesie, raramente di buona qualità. Scrivono anche i leoni da tastiera, ma le loro parole sono pietre. Solo chi scrive o legge “per sé”, può trovare la calma che fa crescere e aiuta gli altri a crescere.

Hanno riaperto le scuole. Studenti e insegnanti dovrebbero seguire un percorso che abbia come obiettivo quello di “rientrare” a casa. Oggi siamo tutti fuori di casa, lontani da noi stessi, estranei al nostro essere. “Era uscito lontano da sé stesso per cadere nelle cose che erano fuori di lui” (Sant’Agostino). La lettura e la scrittura, se praticate non per obbligo o per ambizione, ci riportano a casa. È la festa del ritorno, del ritrovarsi, del capire chi siamo con tutti i pregi, le fragilità, i limiti. Chi non conosce sé stesso non può instaurare con l’altro un rapporto di rispetto e di empatia. Anche per questo stanno dilagando brutalità, bullismo, aggressività. La scuola ha un compito immenso, ma quanti ne sono consapevoli? Non si torna a casa se l’humanitas quale fondamento della dignità di ogni uomo, è confinata in secondo piano.
Oggi ho l’impressione che la vita sia sempre più povera. Accumuli di sporcizia deturpano il giardino d’Italia. Eppure dovremmo essere orgogliosi di un paesaggio unico e di un patrimonio artistico di raro valore. Il nostro è ancora il bel Paese? Il senso civico è scarso: non siamo una comunità, ma un insieme di individui. I mezzi di comunicazione ignorano o trasformano in occasioni di risse ideologiche problemi seri, quali quelli della sicurezza e della difesa, delle risorse e della collocazione geopolitica dell’Italia, del calo demografico e dell’inclusione. Il sentimento nazionale è debole, se non inesistente. Arrivano poi ad occupare posti di potere personaggi spesso privi di competenza e autorevolezza. Vorrei che il pensiero della Ortese fosse scritto sul marmo e collocato all’ingresso dei ministeri preposti a educazione e cultura. La povertà nasce in quegli ambienti e nelle scuole. Dopo le vicende delle ultime settimane sarà difficile riportare il termine cultura ad un grado di decenza accettabile e bonificarlo dal tarlo dell’arrivismo e della vanità. Solo chi legge per sé e scrive per sé potrà salvarci e farci rientrare in casa.
Pierangelo Lecchini