Tutta la verità sulle stragi nazifasciste nascosta per anni in un Armadio

Era il 1994 quando il magistrato Antonio Intelisano aprì quell’archivio “dimenticato” in un mezzanino di Palazzo Cesi a Roma

Giugno ‘44: il girotondo dei bambini della scuola di Sant’Anna di Stazzema: furono tutti uccisi nella strage del 12 agosto

Non ci sono stragi grandi e piccole, ci sono soltanto stragi: lo ribadiva Franco Giustolisi nella prefazione dell’edizione pubblicata nel 2011 de “L’armadio della vergogna”, il ben noto libro nel quale il giornalista romano descriveva quel “ritrovamento” dei faldoni relativi ad altrettanti crimini di guerra compiuti dai nazifascisti in Italia durante i venti mesi dell’occupazione seguita all’armistizio dell’autunno 1943.
Sono passati trent’anni da quel 1994 quando avvenne la “scoperta” ad opera del magistrato Antonio Intelisano, all’epoca procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Roma: il magistrato stava svolgendo il ruolo di pubblica accusa nel processo contro Erich Priebke, il “boia” delle Fosse Ardeatine.
Quell’armadio era stato collocato decenni prima in un piano ammezzato di Palazzo Cesi, un elegante edificio cinquecentesco in pieno centro, a due passi dal Tevere e non lontano da piazza Navona, sede della Procura generale militare.
Lì erano confluite milioni di pagine di documenti; tra questi, nei primi anni del secondo dopoguerra, vi avevano trovato posto, con l’indicazione di “archiviazione provvisoria”, anche 695 fascicoli con atti relativi alle principali stragi compiute soprattutto nel 1944.
Documenti relativi alle istruttorie realizzate “a caldo” o comunque a breve distanza temporale da quei drammatici fatti. Tutti crimini contro l’umanità! Eppure l’armadio fu una realtà resa silente, anche fisicamente visto che le sue ante erano state collocate contro la parete così che lo stesso mostrasse al pubblico un anonimo retro.
Dentro quei fascicoli ci sono fatti che riguardano molte migliaia di vite spezzate, compresa una folla di bambini mai cresciuti. Ci sono anche quelli della scuola di Sant’Anna di Stazzema, che una foto famosa in tutto il mondo li aveva ritratti nel girotondo al termine dell’anno scolastico 1943-44. Poche settimane dopo sarebbero morti tutti nella strage che si è portata via le vite di 560 persone, tutti civili inermi e innocenti.
Nelle carte dell’armadio di Palazzo Cesi ci sono i nomi dei luoghi, i nomi delle vittime, persino i nomi di tanti colpevoli: il lavoro di indagine era stato minuzioso, grazie soprattutto all’impegno profuso dai servizi britannici. A loro, infatti, si devono le ricerche compiute sul campo negli ultimi mesi di guerra e nel periodo subito successivo, quando i crimini erano ancora cronaca scottante.

La grande lapide nel cimitero di Vinca con i nomi delle vittime della strage nazifascista del 24-26 agosto 1944

Con quel gesto di “seppellire” in quel mezzanino poco frequentato dove addossare l’armadio alla parete perché restasse chiuso il più a lungo possibile si voleva, evidentemente, salvare i colpevoli, evitare i processi, dimenticare un pezzo di storia d’Italia, far svanire la memoria.
Volontà politica di uno Stato schierato sul fronte occidentale della “guerra fredda” unita alla volontà di tanti funzionari dello Stato pienamente compromessi con il regime fascista, mai rimossi e anzi impegnati a mantenere il proprio posto ai vertici dell’Italia democratica.
Per anni Franco Giustolisi, di fronte all’inerzia con la quale l’Italia si misurava con la scoperta dei fascicoli dell’armadio, si è chiesto perché quel silenzio durato mezzo secolo stesse continuando ancora negli anni Novanta e per buona parte del primo decennio del Duemila.
La risposta non l’ha avuta: se ne è andato nel 2014, portando con sé le cittadinanze onorarie ricevute dai Comuni di Fivizzano e di Stazzema, ma anche l’amarezza per una giustizia ancora una volta negata a tante vittime innocenti.
Se le carte di Palazzo Cesi hanno prodotto risultati lo si deve soprattutto ad un altro procuratore militare, Marco De Paolis, dal 2002 al 2008 in servizio presso la Procura della Spezia e dal 2010 al 2018 a quella di Roma. In vent’anni di lavoro ha diretto quelle indagini su oltre 450 stragi ed eccidi, istruendo processi e condanne. Una giustizia troppo a lungo negata e non del tutto ancora conseguita.

Paolo Bissoli