Il “futuro”, tra aborto, pace, lavoro e… patatine

“Il futuro… il futuro”, a varie riprese il conduttore radiofonico ripeteva la frase tra l’indignato e lo scandalizzato. La Corte Suprema dell’Arizona ha rispolverato una legge del 1864, la quale stabilisce che lo Stato può imporre un divieto dell’aborto. La decisione avviene perché la Corte Suprema di Washington ha lasciato piena sovranità in materia di legislazione sull’aborto ai singoli Stati. Gli Stati proibizionisti sono già una quindicina. Ciò che ha fatto gridare al “futuro” con toni evidentemente derisori è il riferimento all’anno 1864, come dire che chi non vuole l’aborto appartiene ad un mondo arcaico, è fuori dal tempo e dalla storia insinuando che il futuro sta nel progresso e nella modernità. Basterebbe andare a rileggere i 30 articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani per rendersi conto che quasi tutti hanno radici lontane. Ma se si vuol restare nell’ambito del “futuro”, che “futuro” è quello che il mondo occidentale sta riservando ai tanti affamati di sicurezza, di libertà, di cibo sparsi per il mondo e nel nostro Paese? Fino a ieri il “lavoro” era percepito come una risorsa per vivere in dignità. Oggi circa il 15% dei lavoratori, sotto la soglia di 9.000 euro all’anno, è in condizione di povertà assoluta, mentre un altro 15% non va oltre i 15.000. Per la prima volta nella storia di questo Paese si parla di lavoro povero. Si è perfino incapaci di stabilire un salario minimo che consenta di dare ai poveri la possibilità di respirare.

Quale “futuro” è quello che si preoccupa di ampliare gli arsenali militari, moltiplicando gli affari dei mercanti di armi? I Paesi ricchi si erano impegnati, attraverso l’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps), a versare lo 0,70% del reddito nazionale lordo ai paesi più poveri per garantire beni e servizi essenziali come sanità e istruzione. L’Italia è passata dallo 0,33% di Aps nel 2022 allo 0,27% nel 2023 con un taglio di 631 milioni di dollari. Dov’è il futuro? Ma non è “futuro” neanche schernire le convinzioni religiose più profonde a cominciare da chi crede che la vita sia vita fin dal suo concepimento e a chi crede che l’Eucaristia sia il cuore, il centro della sua fede. Lo stesso conduttore, nella trasmissione, intervista l’ideatore dello spot delle patatine “blasfeme”. In un mondo in cui si purificano perfino i film della Disney, non ci si sente in dovere di rispettare la sensibilità dei credenti. “Se il target sono i giovani, bisogna usare una modalità di espressione che somigli loro, che sono dissacranti, cinici e divertenti”. Questa la giustificazione accompagnata dalla necessità di inchinarsi al dio denaro. Che ci fosse puzza di bruciato si ricava dal fatto che lo spot era stato girato in varie versioni. Quella più pruriginosa non avrebbe dovuto essere pubblicata, infatti non è apparsa in televisione ma sui social, il mezzo più utilizzato dai giovani acui si rivolge la pubblicità. Si può essere tanto ingenui da pensare che sia stato un incidente involontario?

Giovanni Barbieri