Il 10 febbraio è il Giorno del Ricordo istituito per conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale
Profughi istriani abbandonano Pola imbarcandosi sul piroscafo “Toscana”
Per gli italiani d’Istria e Venezia Giulia, inghiottiti dalle foibe carsiche dai partigiani di Tito durante e subito dopo la guerra, l’Italia ha istituito al 10 febbraio il Giorno del ricordo. Le vicende storiche dicono che il confine orientale è stato un luogo senza pace, conteso da forze contrapposte per ideologia, schieramenti armati, odio e violenza, esilio e morte di soldati e di civili con culmine nel breve tempo 1945-1948.
Diventati italiani nel 1918, “redenti” dal dominio austriaco, triestini e istriani con inclusa una attiva minoranza yddish, si erano schierati: i democratici, mediatori di una grande cultura mitteleuropea, contrapposti ai nazionalimperialisti e ai gabrieldannuziani, rozzi e aggressivi contro le nazionalità slave federate. Questi ultimi prevalsero sul piano politico e, come per tutti gli italiani, nel 1926 vennero l’abolizione del diritto di sciopero inteso come sabotaggio economico, la confisca dei beni e la perdita della cittadinanza per i fuorusciti, l’istituzione del Tribunale Speciale: è l’inizio della dittatura fascista.
La ripristinata pena di morte fa strage soprattutto dei cittadini delle zone del confine orientale e viene imposta un’italianizzazione forzata e brutale: furono aboliti nomi, cognomi, intitolazioni, vocaboli non italiani.
Il 1930 per la Venezia Giulia si può definire l’anno della massima repressione delle minoranze, ne consegue lo spegnersi dell’opposizione antifascista, restano solo residui di resistenti contro i quali si accanisce la polizia segreta di stato (Ovra). Nella foiba di Basovizza vennero precipitati i primi antifascisti, seguirà una lunga scia di morte come in tante altre foibe.
A Trieste, città mercantile ma con anima poetica e culturale, frequentata anche da scrittori esterni (Joyce, Rilke), si impianta il terrore, come pure a Gorizia, dove si contano quasi quattromila gettati nelle foibe. Vi era fiorita una ricca cultura nella Trieste asburgica ed ebraica, vi convergevano grandi autori: Svevo, Saba, Kafka, Elias Canetti, Benjamin.
Saba, costretto a fuggire perché ebreo da parte materna,nelle poesie grida che mai si deve fomentare l’odio antietnico: ammonimento quanto mai necessario nella crisi in cui di nuovo è precipitato il nostro presente.
Sull’Isola Calva in Adriatico prigionieri politici
e altri reclusi nel campo di Goli Otok
L’isola Calva davanti alla costa della Dalmazia dove era un campo di prigionia (da Wikipedia)
Si sono fatti servizi giornalistici sull’isola “Calva” nell’alto Adriatico, in croato Goli Otok, rocciosa e battuta dalla bora. Fu il “gulag” di Tito, vi furono rinchiusi gli oppositori politici, obbligati a lavori forzati e poi criminali, matti e particolari operai di Monfalcone di cui si legge in pagina. La struttura è in totale abbandono, si vede come vivevano i detenuti, in celle isolate sottoposti a terribili sofferenze, a tortura con ipocriti intenti rieducativi da parte di un regime antidemocratico.
La richiesta del rappresentante della comunità italiana a Zagabria di farla centro di memoria non ha avuto per ora accoglienza. Le terre giuliane, istriane e dalmate hanno avuto continui baratti di dominio e incroci di civiltà e tensioni tra le zone interne e quelle costiere, dove dal 1208 al 1451 governò il patriarca di Aquileia, subentrò poi Venezia fino al 1797 quando furono cedute all’Austria da Napoleone, tornarono austriache e dal 1918 furono italiane.
Dalla lotta partigiana nasce la repubblica jugoslava a partito unico. Istria e Dalmazia furono divise tra zona B molto più estesa assegnata a Jugoslavia e la piccola zona A all’Italia. Trieste fu fino al 1954 Territorio Libero amministrato dagli Alleati. Il trattato di Osimo del 1975 chiude il contenzioso ma lascia insoddisfatti parte dei triestini, sentono l’Italia “una cattiva madre”.
Caduto il muro di Berlino nel 1989, si disgrega anche la federazione jugoslava, Slovenia e Croazia ora sono paesi Ue, indipendenti e nell’Onu, dopo una nuova stagione di guerra dal 1992 tra le sempre inquiete etnie balcaniche.
La II guerra mondiale capovolge la situazione jugoslava: serbi, croati, sloveni a loro volta vogliono “redimersi” dal dominio italiano fascista e da quello nazista subentrato dopo l’insensata impresa fascista in Albania e Grecia.
La lotta partigiana si organizza fortemente dal 1941 sotto la guida predominante del maresciallo Tito comunista e vincente su altre resistenze, specialmente slovene: poi fino alla morte sarà capo del partito e della Federazione Jugoslava di sei stati (Serbia, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Kossovo) e due regioni autonome (Macedonia e Voivodina).
La Giornata del ricordo è per le vittime della rivalsa o vendetta dei titini contro l’ex-prevaricatore italiano fascista. Le foibe sono inghiottitoi di acque di superficie che per reazione chimica rendono solubili i carbonati della roccia, vi si fecero precipitare gli italiani catturati durante e dopo la lotta partigiana.
Chi era riuscito a scappare prima si salvò, alcuni restarono, circa trecentomila furono obbligati all’esilio; l’Italia non li accolse con adeguato sostegno, furono comunque allestiti campi profughi, uno anche a Marina di Carrara; il dipartimento ministeriale della “Postbellica” provvide borse di studio loro assegnate per condizione e merito. Silvia Dai Pra’, pontremolese con ascendenza paterna istriana, con efficace narrazione rende nel libro Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria la tragica condizione del profugo, dell’esule. Enzo Bettizza in Esilio testimonia che “l’esilio è simile a una lebbra leggera, gassosa” che sfigura e logora; l’abbiamo ascoltato a Pontremoli nel 1996 per l’apertura dell’anno accademico dell’Università delle Tre Età.
Scarsa memoria c’è stata delle vittime delle foibe (Pontremoli da qualche anno le ricorda con una targa in via Europa); come per “l’armadio della vergogna” sulle stragi naziste, la politica degli stati vincitori aveva interesse a mettere un silenziatore sulle tragiche vicende nell’intrigo postbellico quando l’Europa fu divisa dalla cortina di ferro e da una conflittualità “fredda” che non rese conveniente al blocco democratico occidentale indagare sui criminali nazisti per costruire legame strategico con la Germania Ovest.
E creava imbarazzo processare i comunisti di Tito nell’Italia che aveva il più forte partito comunista ed era fatta cerniera tra gli opposti schieramenti e interessata a rapporti aperti con Tito dopo che egli fece nel 1948 lo strappo con Stalin.