Dove va la scuola italiana? I 16 mesi del corso del nuovo governo

Paternalismo alla vecchia maniera alla base della lettura della realtà e dell’atteggiamento dell’esecutivo Meloni nei confronti dell’Istruzione

Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara

Una scuola in cerca di rilancio sia in termini di efficacia della sua “mission” davanti ad una società profondamente cambiata, sia di rilegittimazione del suo ruolo sociale ed educativo, da 16 mesi ha come sua guida politica il ministro Giuseppe Valditara.
Una serie di provvedimenti e annunci hanno delineato in modo abbastanza nitido il modo in cui il ministro ha perseguito questi obiettivi da quando è alla guida di Viale Trastevere. In uno dei suoi primi interventi pubblici, nel novembre 2022, parlando di un episodio di violenza avvenuto in una scuola, Valditara dichiarò che “quel ragazzo deve imparare che cosa significa la responsabilità, lavorando per la comunità scolastica, umiliandosi anche. Evviva l’umiliazione, che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità. Da lì nasce il riscatto, la maturazione, la responsabilizzazione”.

La presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni

L’elevazione dell’umiliazione a valore positivo fu criticata da educatori e pedagogisti di ogni orientamento culturale ma il senso di quell’affermazione è stato confermato dalla riforma del voto in condotta perseguita dal Ministro nel corso degli ultimi mesi, che prevede il ripristino di questa valutazione nella scuola media, la confluenza del comportamento nella media su cui si determinano i crediti per l’ammissione all’Esame di Stato conclusivo della scuola superiore, la bocciatura con il 5 in condotta in presenza di gravi atti di violenza o di commissione di reati, l’assegnazione di un debito scolastico in educazione civica con il 6.
Nelle stesse settimane Valditara, di fronte a quel poco che resta delle occupazioni studentesche, è arrivato a ribaltare il principio giuridico dell’onere della prova: l’alunno che occupa la scuola deve dimostrare di non aver recato vandalizzato le strutture, a pena di compartecipare al risarcimento dei danni riscontrati.
In generale, la scuola si avvia ad affrontare l’emergenza educativa rispolverando un approccio repressivo e autoritario, inadeguato ad affrontare la complessità di un tema che coinvolge i cambiamenti della famiglia, quelli della società e le mutazioni di un universo giovanile che fatica a trovare un orizzonte di senso per la propria vita e che non trova interlocutori adulti capaci di offrirgliene uno convincente. L’ennesimo episodio di violenza a danno di studenti in corteo, quello di venerdì a Pisa, che segue il decreto contro i rave party, il decreto Caivano e altri cortei dispersi con la violenza già da prima dell’insediamento di questo governo, sono la dimostrazione che l’atteggiamento di lettura della realtà con le lenti di un paternalismo vecchia maniera non è peculiarità del solo Ministro dell’Istruzione, ma un collante culturale della coalizione di governo. Rientra in questo contesto anche la riforma della valutazione: si torna, dopo l’incoraggiante riforma degli ultimi anni, alla valutazione in decimi alla scuola primaria.
“Più chiara per le famiglie” ha dichiarato Valditara, come se la valutazione servisse alle famiglie e non alla formazione di ragazzi e ragazze. E pazienza se nella comunità pedagogica prevale l’idea che il voto così com’è non favorisce l’apprendimento e che, al contrario, valutazioni descrittive aiutino maggiormente i processi cognitivi.

Con il voto si può fare la mitica media, identificare “il primo della classe”, valorizzare il merito (come se tutti i bambini partissero dalle medesime condizioni di partenza), premiare e punire: la persona e la complessità della sua crescita riassunti in un numero.
Il ritorno al passato della scuola italiana sembra riguardare anche il raccordo scuola-lavoro, con la sperimentazione nei tecnici e nei professionali della “filiera formativa tecnologico-professionale” che restringe le scuole superiori in 4 anni (ma i licei rimangono di 5), a cui fare seguire due anni di Istruzione Tecnica Superiore (ITS), un percorso professionalizzante in partnership con gli attori dei sistemi economici territoriali.
Lanciata in fretta e furia, la sperimentazione è stata accolta da solo 176 scuole in tutta Italia e vedrà coinvolti il prossimo anno solo 1.669 alunni in tutto il Paese: lo 0,35% delle iscrizioni.
Stessa sorte è toccata al Liceo del made in Italy, protagonista di un pasticcio senza precedenti: gli studenti si sarebbero dovuti iscrivere conoscendo solo le materie affrontate nel primo biennio, cioè di fatto quelle del liceo economico sociale, senza nessuna conoscenza delle discipline specifiche, legate a settori più volte definiti strategici per lo sviluppo del Paese dai rappresentati di governo, come l’enogastronomia, il design, la moda, settori di cui aveva parlato il ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.
Alla fine, in tutta Italia, solo 375 studenti hanno scelto di accedere al nuovo percorso, lo 0,08% di tutti quelli che si sono iscritti alle superiori. E sono state appena 92 le scuole che hanno voluto attivare l’indirizzo.
Per Valditara si è trattato di successi, rispetto ai quali si è detto “grato alle scuole che si sono candidate e alle famiglie che ci hanno creduto”29, come se il tipo di indirizzo a cui accedere fosse una scelta da basare non sul ragionamento e le attitudini, ma sulla fiducia: quella che le famiglie sembrano non nutrire verso sperimentazioni che sembrano il ritorno alla scelta tra avviamento professionale e scuola media di oltre 60 anni fa.

(d.t.)