Anche in Lunigiana inizia la resistenza
Nel vuoto istituzionale creato dall’8 settembre 1943 è l’ora della scelta: in solitaria e piena responsabilità individuale ogni cittadino deve decidere se obbedire agli ordini dei tedeschi, che subito hanno occupato larga parte dell’Italia, e al rinato stato fascista repubblicano, oppure intraprendere la via drammatica e dura di un processo di liberazione per fare un’Italia nuova, democratica.
È una scelta da fare subito di fronte alla propria coscienza e pertanto lega il valore etico a quello politico. La scelta della resistenza contro nazisti e fascisti della RSI porta all’aggregazione attiva dei partigiani, che si arricchirà della solidarietà e dell’aiuto di gran parte della popolazione delle piccole comunità locali.
È dato aiuto ai fuggiaschi, agli sbandati, è una solidarietà che si manifesta con atti concreti: i macchinisti rallentavano la corsa dei treni e facevano fermate impreviste per sottrarre alla cattura degli occupanti tedeschi i civili e i soldati del disciolto regio esercito, oppure facevano trovare nei vagoni seghe e martelli come strumenti di evasione.
Disobbedire ad un governo di discussa legalità non era tradire la patria. Testimoni diretti anche di recente hanno confermato che alcuni loro parenti ancora minorenni, radunati al Distretto Militare di Livorno, messi sui treni, verso Pietrasanta riuscirono a buttarsi giù a corsa appositamente ridotta e arrivare a nascondersi sui monti di Zeri.
Sono subito occupati militarmente tra il 16 e il 29 settembre i centri di Pontremoli, Fivizzano, Soliera, Bagnone, Villafranca, Filattiera dai soldati tedeschi “quasi sbucassero da agguati, annuenti, s’intende, i fascisti repubblicani” scrive il vescovo, che riconosce legittima solo l’autorità del re e agli occupanti solo obbedienza passiva per evitare mali maggiori. La sera del 21 settembre, senza alcuna intesa con la direzione, sequestrano il Seminario e portano via i letti. A voce e poi con invio di lettera il vescovo protesta formalmente ma senza esito.
L’Istituto Magistrale è occupato dai militi della S. Marco detti “mai morti”. Il comando dell’esercito tedesco è in palazzo Bologna. Sapendo di essere fra gente ostile, i tedeschi usano la strategia del terrore per intimorire e sottomettere e cominciano con rappresaglie, deportano in campi di concentramento, mettono in carcere.
Fino al 27 aprile 1945 saranno venti mesi di angoscia, fame, guerra civile, deportazioni, stragi, rappresaglie, incendi, bombardamenti degli Alleati per la nostra terra nelle immediate retrovie del fronte della linea Gotica.
Durante l’occupazione nazifascista chi non coltivava in proprio prodotti alimentari aveva la tessera annonaria con dosi minimali: mezzo chilo al mese di melassa delle api giallognola detta zucchero, mezzo litro di latte al giorno, appena aumentato se c’erano bambini.
La Provvidenza rese il 1944 un anno di buoni raccolti per i contadini, che aiutavano i tanti sfollati da Massa, La Spezia, davano gratuito o barattavano biancheria o altri oggetti con mestoli di farina e qualcosa per sopravvivere.
Pagavano pure con carburo per l’acetilene, soda caustica per fare il sapone. Era l’ora della carità, eroica quella profusa dal vescovo Sismondo. Tanti fatti e poche parole a sostegno di gravi bisogni anche sanitari.
Nell’ospedale c’era un presidio tedesco, non potendo curarvi i partigiani, tutto il personale sanitario sapeva sempre intervenire in altri luoghi, dalla farmacia arrivava il necessario per le cure clandestine. Uguale è la situazione negli altri nostri paesi occupati.
(M.L.S.)