Distanza tra promesse e realtà: il caldo agosto di governo e maggioranza

Un mese denso da un punto di vista politico. Le prime difficoltà del governo, le tensioni interne a Fratelli d’Italia, la lunga corsa verso le europee del 2024

L'aula parlamentare della Camera
L’aula parlamentare della Camera

Il mese di agosto appena terminato della politica italiana è stato tutto tranne che il mese balneare in cui il dibattito parlamentare era alimentato da qualche polemica fra le seconde e le terze linee dei partiti. Al contrario, l’agosto 2023 ha offerto importanti elementi di caratterizzazione del governo e delle forze politiche che lo sostengono. In generale, nelle scorse settimane è emersa la distanza tra una demagogia spinta agli eccessi del populismo, nella scorsa legislatura, anche nelle fasi più drammatiche della vita del Paese, e la realtà del governare. Europa, immigrazione, politiche sociali e del lavoro sono i temi su cui le promesse elettorali si stanno infrangendo.

La presidente del consiglio, Giorgia Meloni, ad un consiglio europeo
La presidente del consiglio, Giorgia Meloni, ad un consiglio europeo

L’antieuropeismo dei sovranisti, fin dai primi giorni di governo si è trasformato in un quieto allineamento alla linea di Bruxelles sui principali temi: l’Ucraina, la regolazione – del tutto inefficace – dei prezzi dei beni energetici ostaggi della speculazione finanziaria, in una sorprendente continuità con la linea del governo Draghi. E l’Europa “che ci lascia soli sull’immigrazione” è quella che assieme a Giorgia Meloni ha firmato in luglio l’eticamente disgustoso Memorandum con la Tunisia per il controllo dei flussi, mentre qualsiasi forma di redistribuzione dei migranti sbarcati ha trovato il veto di Polonia e Ungheria, i paesi con i quali Meloni ha tentato la costruzione di un asse sovranista.

Il tema delle migrazioni ha messo a nudo la propaganda preelettorale: i blocchi navali e la caccia agli scafisti (ma non alle loro organizzazioni) si sono mostrati slogan privi di fattibilità; le imbarcazioni delle organizzazioni non governative, così tanto demonizzate, hanno compiuto salvataggi multipli per ridurre il numero di morti nel Mediterraneo; lo smantellamento delle reti di accoglienza sta mettendo in difficoltà tante amministrazioni locali (le denunce piovono anche da sindaci di destra).

Sul fronte delle politiche sociali e del lavoro si è persa ogni traccia di quell’impegno verso le periferie che una “destra sociale” avrebbe dovuto garantire alle classi popolari. Il reddito di cittadinanza è stato ritirato in agosto a decine di migliaia di famiglie con un gelido sms telefonico dopo aver individuato in maniera arbitraria quanti, tra i beneficiari, fossero “occupabili” in un Paese in cui le politiche attive del lavoro sono all’anno zero e si nega la necessità di un salario orario minimo per legge: un thatcherismo con 45 anni di ritardo che rischia di manifestarsi ancora, nella prossima legge di bilancio – di fatto la prima totalmente a carico di Meloni – nei paventati 4 miliardi di tagli alla sanità e nell’assenza di risorse per la scuola e per le pensioni. A queste ipotesi, vanno aggiunti i progetti PNRR saltati soprattutto nei piccoli comuni a seguito della revisione del Piano, i mancati aiuti agli alluvionati romagnoli e lo spettro del ritorno, nel 2024, del Patto di Stabilità e del dogmatico quanto fallimentare rigore di bilancio, salvo accordi diversi che potrebbero maturare in sede comunitaria: sarà interessante vedere che partita giocherà il governo a Bruxelles, viste le pesanti conseguenze che un ritorno al rigore potrebbe avere sull’economia italiana.

Ma la pausa estiva non ci consegna solo questa presa d’atto della distanza tra promesse elettorali e realtà di governo. Anche sul piano più schiettamente politico agosto ha offerto non pochi spunti, sulla coalizione di governo. Diversi episodi hanno mostrato come Fratelli d’Italia, nonostante il favore elettorale dei sondaggi, è percorsa da forti tensioni. Semplificando, all’interno di quella che con qualche forzatura potrebbe essere definita la classe dirigente meloniana, alcuni osservatori vedono in atto uno scontro tra l’ala erede del neofascismo degli anni ’70, che non esita a rivendicare quegli anni, e le anime del partito estranee a quella storia, come quelle degli ex Forza Italia. Le reazioni al libro autoprodotto del generale Vannacci, la negazione della matrice neofascista della strage di Bologna (omessa anche dallo stesso Presidente del Consiglio) e gli attacchi di Gianni Alemanno stanno a dimostrarlo. La nomina della sorella Arianna a capo della segreteria politica, che suggella una gestione familistica del partito (comprensiva del cognato ministro Lollobrigida) rappresentano il goffo tentativo di Meloni di non essere risucchiata nei gorghi di una pericolosa la lotta correntizia.

Il ministro e vicepremier, Matteo Salvini
Il ministro e vicepremier, Matteo Salvini

A tutto ciò si aggiungono le sgraziate acrobazie di Salvini, intento a riconquistare spazio a destra con le esternazioni lepeniane che da un po’ di tempo aveva messo da parte. L’orizzonte finale di queste manovre è la conta delle elezioni europee 2024, dopo le quali potrebbero mutare molti equilibri nel governo e nella coalizione di maggioranza; dinamiche che non sono evidentemente sfuggite al Presidente della Repubblica, anch’esso protagonista dell’agosto prima con il suo messaggio alla commemorazione della strage di Bologna, poi con l’intervento all’incontro riminese di Comunione e Liberazione: interventi da più parte letti come argini a derive negazioniste o di odio sociale di cui l’Italia non ha bisogno.

(Davide Tondani)