Patona Republik: il rock passa anche dalla Lunigiana

La band di Scorcetoli ha appena pubblicato il disco “Memento”, con cui prova a fare il salto di qualità

I Patona Republik in concerto all’edizione 2023 della Festa della Fame e della Sete a Filattiera
I Patona Republik in concerto all’edizione 2023 della Festa della Fame e della Sete a Filattiera
I Patona Republik nella sede dalla loro sala prove
I Patona Republik nella sede dalla loro sala prove

Una pacca sulle spalle e subito l’offerta di una birra (fin troppo!) ghiacciata. Si entra immediatamente in un’atmosfera rock nel varcare la soglia della sala prove/studio di registrazione che il gruppo lunigianese dei Patona Republik ha ricavato da un vecchio edificio situato in un piccolo borgo, frazione del comune di Filattiera. L’habitat è quello di un luogo circondato da boschi e valli, in bilico tra la calma piatta e le inquietudini tipiche della provincia. Si entra, infatti, in un territorio solitario e curioso, che per raggiungerlo bisogna affrontare una strada in cui il terreno sale e i muretti di pietra bordati di rovi si stringono sempre più addosso ai solchi della via, spesso attraversata dalla fauna selvatica composta da cinghiali e caprioli.

È in questa location che sono stati composti, provati ed arrangiati i brani che compongono l’ultimo disco realizzato dal gruppo, ovvero “Memento”, un album ambizioso e ricco di sonorità che rappresenta un punto di svolta nella produzione dei Patona Republik. Perché il gruppo originario di Scorcetoli (composto da Davide Sica, chitarra e voce, Davide Terzi chitarra e cori, Matteo Moscatelli, basso, Paolo “Pancio” Moscatelli batteria) fino a questo momento si era mosso su tutt’altri fronti come ci raccontano loro stessi: “la nascita ufficiale dei “Patona” è datata attorno al 2010, quando i due Davide si uniscono a Matteo e Paolo reduci da una precedente esperienza musicale”. Una band che ha alla sue base l’amicizia tra i quattro componenti “siamo come una famiglia, in cui inevitabilmente ci sono anche scontri e vedute diverse. Ma sempre nell’ambito di voler crescere insieme e in cui ognuno porta il suo importante contributo”.

I Patona Republik suonano nella loro sala prove
I Patona Republik suonano nella loro sala prove
Le sezione ritmica dei Patona Republik con batteria e basso
Le sezione ritmica dei Patona Republik con batteria e basso

Gli inizi sono caratterizzati dalla realizzazione di cover di celebri brani rock, con testi in dialetto in cui si raccontano eventi divertenti e ridicoli: “talvolta anche realmente accaduti. Brani schizofrenici e deliranti, ma speriamo anche simpatici”.

Beh in effetti è difficile non farsi scappare un sorriso sentendo che la famosa “Viva Las Vegas” si trasforma in “Viva Scorsedal” o pensare alla faccia che potrebbe fare Bob Dylan se sentisse che la sua “Knockin’ on heaven’s door” si muta in un inno a favore della torta d’erbi contro la più celebre delle zuppe di verdura (“No, no, no cal mnestron a’ nal voi”). E con questi brani, suonati con grande carica e passione, sono riusciti ad attirare l’attenzione a livello locale, con la partecipazione a diversi eventi musicali ed anche con importanti riconoscimenti come l’aver aperto il concerto dei Modena City Ramblers. Ma ora si è deciso di cambiare rotta, in maniera radicale “c’era la voglia di realizzare un lavoro nostro, un disco serio in cui far emergere le nostre qualità anche nella composizione”.

I due chitarristi dei Patona Republik
I due chitarristi dei Patona Republik

Così nasce “Memento” (pubblicato dalla “Atomo World”) un album compatto e feroce e allo stesso tempo melodico ed epico, pieno di riferimenti al dolore e alle difficoltà. Ma anche alla voglia di rinascita e di riscatto: “è un concept album in cui abbiamo provato a raccontare a 360° le sofferenze, la violenza che c’è nel mondo. Ma anche le utopie, i sogni che ci tengono ancora in piedi e che ci fanno andare avanti”.

Un disco dai suoni potenti, ruvidi e melodici, ammiccando al rock degli anni ’90, mischiandosi ad un disinibito cantato in italiano, combinando le soluzioni sonore di rock atmosferico ad innesti più incisivi, con un continuo alternarsi spontaneo tra un mood crepuscolare ed un altro più luminoso. Perché in questo album c’è malinconia, ma anche tanta tenerezza e positività.

All’interno del disco non mancano poi le collaborazioni che donano un approccio nuovo e coraggioso all’intero lavoro: a partire dalla suggestiva copertina del disco, nata da un’idea del cantante Sica e che è stata poi resa graficamente da Nicola Bardò. Senza dimenticare poi l’intervento rap di Elia Mori (in arte Malanno) nel brano “Madre”, o ancora la collaborazione in fase di registrazione e di mixaggio con Giacomo Lorè, Lorenzo Bertoni e Leo Caleo, chitarrista di Francesco Gabbani.

(Riccardo Sordi)

 

Le canzoni dell’album

Non una recensione, che il vostro articolista non sarebbe in grado di offrirvi, ma piuttosto un ascolto assieme ai lettori.

La copertina di "Memento"
La copertina di “Memento”

Memento: la canzone che dà il nome all’album parte con il rumore martellante e ritmico di batteria e basso, poi arricchito dalla frenesia delle chitarre distorte. Un brano che è una sorta di “memento vivi”, ovvero di ricordarci degli attimi che danno senso alla vita (“tutto il tuo dire, il fare, l’avere non valgono il coraggio di amare”)
Acqua e polvere: ad un primo ascolto uno dei brani di maggiore impatto. Poi ha perso qualche posizione ma resta comunque un pezzo decisamente riuscito, grazie ad un vorticoso suono di chitarra e a quel esordio vocale (“Fasti di un tempo che…”) che arriva come una stilettata controtempo. Un brano che parla di cura, di riempersi di “quel rumore che… ti fa vivere”
Ci sono giorni: forse la canzone più adatta per diventare un singolo, con quell’avanzare claustrofobico e ansimante, con basso e batteria che incalzano in una danza ipnotica fino al crescendo liberatorio del ritornello (“tu che mi dicevi che ogni tempo al suo tempo e che il sogno è libertà”) Deserti di silicio: un brano sulla schiavitù tecnologica (“l’algoritmo che non sei, non capirai mai”) un brano che ricorda i suoni ruvidi dei Foo Fighters, spettacolare il finale con una rabbiosa cavalcata di chitarra.
Madre: “La canzone sui cui avevamo più dubbi è forse quella più riuscita” dicono gli stessi P.R., ed infatti l’alternarsi tra rock ballad e l’urlo liberatorio (“vorrei sotterrare, vorrei bruciare la mia fiala di dolore”) del ritornello ne fanno un pezzo davvero potente.
Limiti: è un grido sulla fragilità e la difficoltà della vita (“sembra quasi normale quello che non lo è”) ma anche sulla necessità di accettarsi con i propri limiti.
Vertigine: il riff asciutto e vorticoso di chitarra incanta fino all’esplosione della parte ritmica che si trasforma quasi in un ritmo tribale (“la cecità è un limite, la vista a volte anche di più”). Un brano che si interroga sulla differenza tra la realtà e il mondo virtuale.
Implosione: si parte con un arpeggio di chitarra, asciutto, secco, come le parole che Sica canta con grande pathos “Sogno di vivere sognando… ma è solo l’implosione di me stesso”. Poi il brano si libra con potenza grazie a suoni aspri e vividi.
Today: ma questo è una canzone dei Placebo! Così ho esclamato al primo ascolto, chiedendomi come fosse possibile viaggiare, nell’arco di un brano, da Scorcetoli 2023 alla Londra di inizio millennio. Ovviamente sono ancora i nostri P.R. che si cimentano in un brano in lingua inglese con una chitarra graffiante e la voce limpida e pura di Sica. (r.s.)