Paolo Portoghesi: architetto postmoderno con radici nel barocco romano
L’arch. Paolo Portoghesi con il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2001 (Foto: Presidente della Repubblica)

Paolo Portoghesi (Roma 1932- Calcata 2023) si è spento il 30 maggio, allievo di Bruno Zevi è il maestro dell’architettura postmodernista italiana, caratterizzata da ricerche e sperimentazioni che negli anni ’70 contestarono la razionalità del movimento modernista.
Il postmoderno si allarga a considerare inaccettabili le certezze e l’ideologia del progresso, intreccia moduli e stili differenti in una “società trasparente” e di “pensiero debole” (Gianni Vattimo), pensiero che si basa sull’affermazione che tutto è contingente, che i valori e la conoscenza sono condizionati dalle supremazie politiche, sociali o culturali. I postmoderni preferiscono il virtuale al reale, sono scettici e fanno ironia sulla grande narrazione della cultura occidentale; sono stati accusati di non aggiungere nulla alla conoscenza analitica o empirica.
Portoghesi è figlio dello smarrimento dei nostri giorni, è grande nell’interpretarlo e nel trovare soluzioni architettoniche creative, che portano in avanti e insieme indietro (il prefisso “post” è infatti ambivalente, se non ambiguo, dice un dopo e un prima). La novità in avanti è fatta anche di richiami sistematici al passato, alla linea curva, all’alternanza di linee concave e convesse del barocco: un esempio è a Roma casa Papanice, un capolavoro di Portoghesi con l’esterno rivestito di bande verticali in maiolica distinte in colori della natura, i balconi hanno parapetti come canne di organo: l’opera è una citazione continua dall’amato Borromini per genialità e libertà di forme.

Si occupò anche del centro storico di Pontremoli

Sul finire degli anni Ottanta l’arch. Portoghesi arrivò a Pontremoli, invitato dall’allora ministro Enrico Ferri, perché si occupasse di stendere un piano di recupero del centro storico pontremolese su incarico dell’amministrazione comunale guidata dal sindaco Gianpiero Bertoni. Il professionista romano, affiancato da una équipe di tecnici locali, indicò alcune linee guida per quel progetto che venne battezzato “Pontremoli 2000”.
C’è chi ricorda l’arch. Paolo Portoghesi passeggiare per le vie del centro di Pontremoli in un completo chiaro, quasi bianco, salire fino al castello per osservare dall’altro lo sviluppo di quel centro storico, tra i più vasti e particolari del nostro Paese, stretto tra due fiumi e inserito in un contesto ambientale all’epoca ancora più naturale di quanto non sia oggi con altri edifici che sono cresciuti nel tempo a sottrarre spazi verdi.
L’idea di Portoghesi era quella di preservare e valorizzare le aree attorno al centro storico, lungo i corsi d’acqua, con un piano di recupero che si sviluppasse dal castello del Piagnaro a San Pietro e da lì fino all’Annunziata dove era da sciogliere il nodo dell’area occupata dall’ex cementificio. Un piano che comprendesse il recupero di tanti palazzi già in gran parte vuoti e nuove destinazioni d’uso per altri.
Tra le ipotesi anche quella dell’ascensore per il castello all’interno della collina di Porta Parma, la copertura dell’allora parcheggio di via del Seminario con un’area verde, il recupero della parte retrostante della chiesa di San Giacomo d’Altopascio, la valorizzazione dei giardini urbani e tanto altro. Il piano steso negli anni successivi venne finanziato solo in piccola parte dal Ministero e tenne conto solo in piccola parte delle indicazioni originarie (p. biss.)

Figlio di un ingegnere, cresce nel cuore barocco di Roma, sua fonte principale di ispirazione. Lavora con Vittorio Gigliotti, fonda riviste, scrive libri su Guarino Guarini e Francesco Borromini, un Dizionario di architettura e urbanistica; con Zevi collabora alla mostra su Michelangelo architetto, direttore della Biennale di Venezia dal 1979 al 1982. Preside alla facoltà di Architettura al Politecnico di Milano, nel turbinio della contestazione del ’68 paga con la sospensione dall’insegnamento.
Ritorna a insegnare a Roma Storia della critica, per meriti è nominato all’Accademia di Architettura di Firenze, dei Lincei, Americana. A Venezia chiamò architetti di fama mondiale per il progetto “Strada Novissima” che disegnano venti facciate di case contigue e di misure uniformate: il progetto ebbe grande clamore mediatico ed è considerato il Manifesto della architettura postmoderna italiana.
Criteri del suo operare sono confrontarsi col luogo, imparare dalla storia, tutelare l’equilibrio tra paesaggio naturale e costruzioni urbane, ridurre i consumi: è un passaggio alla geoarchitettura “umanistica” o della responsabilità con richiami a Le Corbusier. L’impegno concettuale di Portoghesi degli ultimi decenni è diffuso dalla rivista “Abitare la terra” da lui fondata.
Tra le tante opere un accenno a casa Baldi, a casa dell’imprenditore pugliese Papanice; studioso della cultura islamica, ne dà chiari riflessi nella moschea di Roma, la più grande in Italia, e di Strasburgo. Riconosce all’islam il merito di aver diffuso linguaggi molto diversi. Nella moschea romana si vedono spunti da moschee-foresta maghrebine, di Cordova, di Sinan a Istanbul, giochi di luce si integrano per favorire meditazione e grandi cortili si alternano con spazi aperti.
A Parma opera di Portoghesi è piazza Ghiaia, all’estero firma un Istituto Universitario a Oxford, un complesso industriale e piazza a Pechino, palazzo reale ad Amman, aeroporto e piano regolatore di Khartum.
Ha vissuto nella sua villa con parco a Calcata (VT), si intrecciano linee curve di richiamo barocco e strutture razionali , è suo anche il progetto della Chiesa Nuova della cittadina viterbese, dove si sono celebrati i suoi funerali.

Maria Luisa Simoncelli