Elezioni in Turchia: il 28 maggio la sfida sarà tra il leader uscente e il socialdemocratico Kiliçdaroglu
Le difficoltà, messe in preventivo dai sondaggi, che Erdogan avrebbe potuto incontrare per la conferma alla guida della Turchia (sono ormai 20 gli anni di esercizio di un potere sempre più totalitario) hanno trovato conferma nei risultati usciti dalle urne nella serata di domenica scorsa.
Al di là di ogni altra considerazione, il risultato è lampante: Erdogan è stato costretto al ballottaggio. Avendo ottenuto “solo” il 49,4% delle preferenze ed essendo così rimasto sotto la soglia del 50% – mentre il suo avversario, il socialdemocratico Kemal Kiliçdaroglu, si attesta sul 44,96% – dovrà sottomettersi ad un ulteriore “giudizio del popolo” il prossimo 28 maggio.
Ago della bilancia potrebbe risultare un terzo candidato, il nazionalista Sinan Ogun, che potrebbe mettere a disposizione di uno o dell’altro dei contendenti il 5,2% dei consensi ottenuto al primo turno: poca cosa in sé ma che potrebbe risultare decisiva.
Nel frattempo, però, l’Alleanza popolare formata dall’Akp di Erdogan e altri partiti di estrema destra e islamisti ha conquistato la maggioranza dei seggi parlamentari (322 su 600), mentre la coalizione di opposizione si è fermata a 212.
Ad Alleanza del lavoro della Libertà, formata dal Partito della Sinistra Verde (Ysp) di orientamento filocurdo e dal Partito dei lavoratori di sinistra, vanno 66 deputati; di questi, 62 sono dello Ysp, che diventa così il terzo partito nell’assemblea parlamentare.
L’affluenza alle urne ha sfiorato il 90% (era stata dell’88% nel 2018) ed è stata alta anche nelle zone devastate dal terremoto del 6 febbraio.
“Sorprendente – spiega al Sir Carlo Marsili, ambasciatore di Italia in Turchia dal 2004 al 2010 – è che dopo 20 anni al potere Erdogan riesca ancora ad ottenere dei successi abbastanza consistenti”.
L’opposizione, aggiunge, può considerare un successo aver ottenuto il passaggio al secondo turno ma Erdogan ha ottenuto la maggioranza parlamentare, il che gli consentirebbe una governabilità maggiore in caso di vittoria finale.
Una vittoria di Kiliçdaroglu, dice Marsili, “porterebbe dei cambiamenti piuttosto significativi nella politica turca ma non in quella estera, caratterizzata dalla particolare collocazione geostrategica del Paese”.
È difficile, aggiunge, che il leader socialdemocratico possa cambiare la politica verso la Russia “perché la Turchia ha bisogno di quest’ultima in tema di forniture energetiche, turismo e di un trattamento di favore per i prezzi gas”: se è vero che sia Erdogan che Kiliçdaroglu diffidano di Putin, tuttavia devono in qualche modo trattarci.
Da Kiliçdaroglu ci si potrebbe aspettare un atteggiamento meno ostile di quello di Erdogan nei confronti dell’Europa, mentre, per quanto riguarda il rapporto con gli Usa non bisogna dimenticare l’antiamericanismo storico in casa turca.