Il rapporto Svimez sancisce le disuguaglianze; l’Istat conferma il drammatico calo di nascite
La tendenza era già nota ma una “fotografia” firmata Istat sulla situazione demografica del Paese e sul peso delle fasce di età nella popolazione non può mancare di fare impressione. L’istituto di statistica ha reso noto che, dall’Unità d’Italia ad oggi, mai così poche sono state le nascite, scese, nei dodici mesi del 2022, sotto la soglia dei 400mila, per l’esattezza 393mila.
La frana è ormai generalizzata; più evidente al Nord e al Centro, con la solita eccezione del Trentino Alto-Adige, che si conferma la regione con la più alta fecondità: 1,51 figli per donna a fronte dell’1,28 della media nazionale. Seguono Sicilia e Campania. È a due facce il dato dell’età della popolazione.
Positivo il fatto che si allunghi la longevità: siamo a 22mila ultra centenari, primi in Europa. Contestualmente, però, cresce il peso delle fasce d’età più avanzate: un italiano su 4 ha almeno 65 anni: in tutto gli anziani sono 14milioni e 177mila, il 24,1% del totale (era il 23,8% nel 2021).
A questi dati preoccupanti, diffusi nei giorni attorno a Pasqua, vanno ad aggiungersi quelli, non meno allarmanti, diffusi dalla Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez), sulla situazione della scuola in Italia. Riassumendo, dopo tanto parlare di questione meridionale, sviluppo del Mezzogiorno e temi simili, l’organizzazione scolastica appare, quasi inesorabilmente, divisa in due.
La classifica della dispersione vede al primo posto le regioni meridionali, con un picco segnalato per l’area metropolitana di Napoli. Al Centro-nord il tasso di abbandoni è del 10,4%, nel Mezzogiorno del 16,6%. E a Napoli arriva a sfiorare il 23%. In Europa la media è del 9%. Una disparità che emerge anche nei servizi come le mense, le palestre, il tempo pieno. Ecco, allora, una virtuale scaletta degli argomenti che dovrebbero stare ai primi posti nell’agenda della politica italiana e invece, da qualche mese a questa parte c’è stata una continua rincorsa a temi come la sicurezza dei raduni rave, le navi ong, la difesa della lingua italiana, la carne sintetica: tutti argomenti da non trascurare, ma che non presentano certamente le criticità dei due sopra ricordati.
Per non dare l’impressione di grave parzialità, aggiungeremo che nemmeno i precedenti governi hanno brillato nell’affrontare calo delle nascite e progressivo abbassamento di qualità del sistema scolastico. Se, poi, a tutto questo aggiungiamo il progetto di Autonomia differenziata delle Regioni tracciato dal ddl Calderoli, si capisce facilmente che anche il minimo di uniformità nazionale in certi settori decisivi può andare perso in modo definitivo.
Il rischio, lo si capisce facilmente, è che due bambini italiani (tra i pochi che continuano a nascere!), portati dalla cicogna, per esempio, a Milano o a Napoli, abbiano già la strada segnata. Il tempo pieno al Sud è solo al 18 %, contro il 48 nazionale. In particolare, a Milano è all’80%, a Napoli solo al 20.
Un ragazzino che va a scuola in Toscana trova la mensa nell’85 % delle scuole e una palestra (magari non sempre al top ma c’è) nel 75%; il suo coetaneo di Napoli trova il tempo pieno nel 20% delle scuole e può calcare il pavimento di una palestra nel 17%. In cinque anni di Elementari, il bambino del Sud “perde” un anno intero di servizi!
Le denunce di abbandono ai Servizi sociali ci sono ma la loro incidenza è veramente limitata. Un ritratto poco onorevole del nostro Paese, che va a sommarsi all’altro problema citato all’inizio. Il “successo demografico” ottenuto dalle province autonome di Trento e Bolzano è dovuto anche alla presenza diffusa sul territorio dei servizi per l’infanzia, utilizzati dal 30% degli aventi diritto contro il 15% della media nazionale, e all’introduzione della “dote finanziaria”, con un incentivo di 5mila euro alla nascita di ciascun figlio per le famiglie numerose: un modello economico e culturale da prendere come esempio.
I motivi economici, però, non sono i soli a frenare le nascite in Italia. Tra le cause l’Istat indica il calo dimensionale e il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età che si considerano per convenzione feconde, cioè dai 15 ai 49 anni. Il presidente del Forum delle Famiglie, Adriano Bordignon, dichiara al Sir che non ci si deve crogiolare sul fatto che la “caduta demografica” dell’Italia sia meno grave dello scorso anno.
“Continua il crollo delle nascite, afferma, e ci sono tantissimi giovani italiani che hanno lasciato il Paese. il rischio è che non ci si accorga per tempo della gravità del processo che sta segnando il futuro del Paese”. È nota la catena segnalata anche dal presidente del Forum: meno figli, meno lavoratori, meno competitività delle imprese, meno welfare e meno salute, più solitudini e migrazioni. Per questo è quanto mai necessaria “una rivoluzione copernicana che metta il futuro, e non il passato e i diritti acquisiti, al centro dell’agire politico ed economico”. Tra i rimedi Bordignon segnala “il potenziamento dell’assegno unico, la riforma fiscale e i servizi per la prima infanzia”.