Il litigio e l’urlo impediscono l’ascolto e il dialogo

Dov’è finito il dialogo? È la domanda che ci poniamo quando seguiamo i programmi televisivi che fanno spettacolo della parola, all’inglese: talk show. Dialogo è vocabolo greco di significato preciso e inequivocabile: è la conversazione, anche su argomenti profondi e complessi, tra persone, anche di idee diverse o opposte.
Ognuno espone le sue osservazioni, le rimette in discussione, le confronta con le obiezioni degli altri; gradino per gradino, in modi chiari e pacati, si giunge a concludere o a far capire le diversità di pensiero. Così, secondo il senso etimologico, la parola passa da uno all’altro. La Grecia, terra madre della filosofia, ha trasmesso il pensiero di Socrate, raccolto in dialoghi da Platone e sviluppato nella teoria delle idee.
La rivoluzione copernicana dell’eliocentrismo fu esposta da Galileo nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Da dialogo viene ‘dialettica’, si pensi a Hegel, per il quale alla sintesi si giunge contrapponendo tesi e antitesi. Leopardi si esprime anche nei dialoghi delle Operette morali.
Oggi le informazioni vengono divulgate per lo più in convegni e dibattiti televisivi, con risultati spesso deludenti. Si fa spettacolo contrapponendo degli addetti fissi alla provocazione a nome dei partiti o dei padroni delle televisioni commerciali. Non sanno ascoltare l’altro, non lo lasciano parlare, montano sopra con la voce; i conduttori non moderano il dibattito, si scatena l’urlo e si arriva all’insulto.
Se uno spettatore volesse chiarirsi le idee, non arriva a niente, non c’è comunicazione. Molti personaggi sono presenze fisse come “operai a libro-paga”, mestieranti della politica. L’informazione indipendente, baluardo necessario della democrazia, ha difficoltà; ci sono giornalisti schierati da una parte che non ascoltano, perfino insultano in polemico e preconcetto antagonismo. Un turbinio di urla che rivela un vuoto di pensiero, non c’è niente di sostanza, manca il senso critico, c’è un vuoto di progetti per governare gli enormi problemi del nostro tempo, la risposta si limita ad uno “staremo a vedere”.
Eppure le baruffe nei salotti televisivi continuano, quindi hanno ascolto, c’è un pubblico che si diverte allo spettacolo del litigio; è una situazione che turba, indizio di indebolimento delle istituzioni democratiche che richiedono cittadini partecipi, ma per esserlo devono essere informati in proprio e attraverso i moderni mezzi. Altro elemento negativo dei dibattiti è il linguaggio trasandato, banale del tipo “me ne frego”; è stato organizzato un “vaffa… day” con quei puntini ipocriti di sospensione, insistito è l’uso di scurrili intercalari di riferimento genitale.
Anni fa, un’insegnante fu rimproverata da una mamma per aver segnato errore rosso la parola “menefreghismo” nel tema della figlia: ora la usano anche i filosofi: i tempi sono davvero cambiati!

(m.l.s.)