Con il suo magistero ha tracciato un cammino di Chiesa “
Signore, ti amo”. Sono le ultime parole pronunciate da Papa Benedetto nell’imminenza della morte. Sintetizzano il messaggio di una vita vissuta nella ricerca di realizzare il sogno evangelico di seguire le orme del Cristo. Una vita complessa e piena a servizio della Chiesa, che, come dice nel suo testamento spirituale, “con tutte le sue insufficienze, è veramente il corpo di Cristo”. Era riuscito ad avere una vita riservata, quasi silenziosa, malgrado gli importanti incarichi come la nomina a prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e a presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. Senza contare la sua opera, continua e preziosa, come collaboratore di Giovanni Paolo II.
In un momento particolarmente critico per gli scandali della pedofilia, per le guerre intestine di Curia (non si può dimenticare la diffusione di documenti delicati e la questione Vatileaks) viene eletto Papa. Il suo riserbo e la sua gentilezza non gli impediscono di iniziare un’azione di trasparenza e di condanna nei confronti di certe piaghe della Chiesa. Sulla scia di Giovanni Paolo II riprende il dialogo ecumenico soprattutto con la Chiesa ortodossa, con gli ebrei e tenta un recupero dell’identità cristiana dell’Europa.
Tutto questo avviene anche attraverso i 24 viaggi apostolici, quasi tutti in Europa. Nello stesso tempo, tuttavia, si tratta di alimentare la vita di fede alle prese con la globalizzazione e l’individualismo galoppante, ma anche con tensioni contrapposte tra “tradizionalisti” e “progressisti”. Le sue tre encicliche sulle virtù teologali – “Caritas in veritate”, “Spe salvi”, “Deus caritas est” – segnano la traccia per un cammino di Chiesa.
Lì, ma anche in tanti altri interventi significativi, si affronta anche il tema della possibilità dell’incontro tra ragione e fede. Tema che ha voluto ricordare anche nel testamento spirituale. “Rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! Spesso sembra che la scienza sia in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica. Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza… Ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista. Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede. Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita”.
Quando si è reso conto che le forze non lo sostenevano per affrontare il peso del suo ministero ha preso la decisione più rivoluzionaria che si potesse immaginare: le dimissioni. Un altro gesto di amore per Cristo e per la Chiesa.
Giovanni Barbieri
Una rinuncia decisa “per il bene della Chiesa”
L’11 febbraio 2013 è la data che per la prima volta nella storia della Chiesa ha introdotto la figura del Papa emerito. Quella della rinuncia di Benedetto XVI al pontificato, in un momento in cui non erano visibili condizioni fisiche che potessero aiutare a comprendere le ragioni di un tale atto, è stata una scelta talmente lontana dalla realtà da non essere stata, ancora oggi, aggiornata in modo completo all’interno del diritto canonico.
Lui stesso, durante il Concistoro convocato per l’occasione, ha spiegato le motivazioni alla base di tale decisione, dichiarando che la rinuncia “al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante”, avveniva “dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio”, nella convinzione “che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”, specie in un mondo “soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede”.
Con tali premesse, continuava, “per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”. Dalle ore 20 del 28 febbraio, iniziava, così la “sede vacante”, che si è conclusa il 13 marzo 2013 con l’elezione di Papa Francesco. Benedetto XVI si è ripromesso di continuare a “lavorare per il bene comune della Chiesa e dell’umanità… con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera”.
Una promessa mantenuta con il silenzio, la mitezza e la discrezione che hanno scandito le sue giornate nel monastero ‘Mater Ecclesiae’, dove aveva scelto di vivere “nascosto al mondo”. In modo analogo – prima ancora di conoscerne il nome – aveva promesso “incondizionata reverenza ed obbedienza” al suo successore. E questo, nonostante i molti tentativi, neanche tanto nascosti, di “tirarlo per la giacchetta” a prendere posizione contro papa Francesco. Diversi gli inviti ad abbandonarsi alla preghiera contenuti nei suoi interventi negli ultimi giorni di pontificato. Non una ritirata o una fuga, quindi, ma un abbandono con gioia fiduciosa alla volontà del Padre: “Ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene ma per il bene della Chiesa”.