Un papato volto a indirizzare e chiarire la presenza della Chiesa nel mondo
Verità e dialogo
Il pontificato di Benedetto XVI è stato nel segno del desiderio e della concretezza della verità. Pochi sanno che nel 1945, a 17 ann, obbligato dal Nazismo, fu arruolato nella contraerea tedesca ma non andò mai al fronte disertando, con l’aiuto di un sergente che lo salvò dalla fucilazione. Uomo di grandi capacità, chiaro nel linguaggio, inflessibile nei contenuti perché affermava che nel relativo tutto si perde.
Uomo del dialogo in particolare con l’Ebraismo, a cominciare con lo studioso Jacob Neuster, nella convinzione che ebraismo e cristianesimo, nelle dovute differenze, erano insieme portatori di valori spirituali ed etici per il mondo contemporaneo.
Condivise il Vaticano II con amici, dai quali si separò in nuove riflessioni, mantenendo con loro il dialogo teologico; mi riferisco ad H. Kung e K. Rahner. Lo stesso Kung ricordò “abbiamo seguito due cammini diversi ma siamo cattolici”. Assertore della libertà di coscienza, sottolineata a Londra nel discorso al Parlamento, difensore della Legge Naturale a Berlino, mantenendo un dialogo serrato e onesto con J. Habermas sui fondamenti etici.
La sua riflessione sulla presenza cristiana nel mondo contemporaneo lo portava a formulare l’ipotesi di una “minoranza creativa”, cristiani ed ebrei, che concretizzerà anche nei così detti “valori non negoziabili”. Per lui lo sviluppo non era mera crescita economica ma una realtà integrale: “ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera!”
Espresse il suo dolore per il male dentro la Chiesa, commentando al Colosseo l’ultima via crucis di Giovanni Paolo II, in cui afferma, che la Chiesa è una “barca che fa acqua… quanta sporcizia dentro la Chiesa”. Da Papa inasprì le regole contro la pedofilia. Cercò di sanare, senza riuscirci, lo scisma post conciliare; gentile e fermo indicò sempre, con pensiero chiaro e profondo, di indirizzare e chiarire la presenza della Chiesa nel modo.
In una sua intervista pubblicata in Germania su Die Welt , l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, così si esprimeva per una Chiesa “più attiva e più critica… è stata troppo occupata con sé stessa… ma non deve nascere l’impressione che la fede si esaurisca in una specie di moralismo politico. Il messaggio centrale di Dio, di Gesù Cristo, della salvezza temporale ed eterna deve nuovamente percepirsi di più, perché la Chiesa non è una organizzazione per migliorare il mondo”. I suoi amici dicono che scherzosamente spesso ripeteva che il cristianesimo è “sale” non “zucchero.
Il pensiero di S. Agostino chiave di lettura del suo pensiero e Magistero
Il pensiero di S. Agostino e di Romano Guardini hanno segnato il cammino culturale e spirituale di Papa Benedetto. Nel suo stesso stemma volle la conchiglia a ricordo del racconto leggendario del bambino che vuol mettere tutto il mare nel secchiello; Dio resta sempre più grande. Benedetto XVI fu attratto dalla vicenda umana e religiosa di S. Agostino, da quel suo interiore travaglio intrapreso per credere e comprendere e al contempo comprendere e credere, facendo dialogare fede e ragione.
Così ai seminaristi nel 2007: “Per me era affascinante la grande umanità di S. Agostino… che dovette lottare spiritualmente per trovare man mano l’accesso alla Parola di Dio… questo cammino così umano, dove anche oggi possiamo vedere come si comincia ad entrare in contatto con Dio, come tutte le resistenze della nostra natura debbano essere prese sul serio e poi debbano essere analizzate per arrivare al grande sì al Signore…
Alla fine: l’amore
Nella sua prima enciclica il tema fu l’amore di Dio, l’amore di cui il Signore ci ricolma e come da ciò ci è possibile amare gli altri. Se vogliamo sintetizzare l’uomo e il papa lo ritroviamo nelle parole stesse dell’enciclica dove afferma che l’amore è una luce “che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e agire… L’amore è possibile e noi siamo in grado di praticarlo perché creati a immagine di Dio, vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo”.
Concludendo, afferma: “Ecco ciò che vorrei invitare con la presente enciclica”. Se Giovanni Paolo II ha segnato la chiesa con la sua sofferenza, una Cattedra del dolore, Benedetto XVI ha inaugurato una Cattedra dell’umiltà, nel recinto di S. Pietro, non abbandonando la Croce, ma contemplandola e additandola alla Chiesa come vera via all’amore.
Don Pietro Pratolongo