L’anziana signora Annie Ernaux, nata nel 1940 a Lillebonne in Alta Normandia ha meritato il massimo riconoscimento letterario. I suoi libri sono molto studiati e sono considerati un’opera di classicità contemporanea. Gli anni vinse il Premio Strega europeo nel 2016, L’evento è materia per il film vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 2021. Questa la motivazione del Nobel da parte dell’Accademia svedese “Per il coraggio e l’acutezza clinica con cui ha svelato le radici, gli straniamenti e i vincoli collettivi della memoria personale”.
Abbiamo letto Una donna. L’io narrante è autobiografico, la struttura linguistica si snoda in agile paratassi. L’incipit lo svela subito: mia madre è morta lunedì 7 aprile nella casa di riposo. Al telefono l’infermiere ha detto…
Annie cerca la verità su sua madre; di famiglia modesta aveva compiuto tutti i gesti che addomesticano la miseria e la condizione sociale. Il ricordo individuale porta a scoprire un mondo storico in cui molte madri avanti negli anni possono riconoscersi, tanto francesi che italiane. Leggeva di tutto, amava il cinema e cantava le canzoni. Vivendo in un piccolo centro sapeva degli altri, si sentiva sotto osservazione e quindi era combattuta tra ansia di godersi la giovinezza e ossessione di essere valutata dallo sguardo degli altri.
Operaia poi a credito prende un bar drogheria, ha piacere di parlare coi clienti: quante vite si raccontano in un negozio! (prima dei supermercati). Come tante di noi non più giovani negli anni 50 aveva letto i libri cattolici della Delly e le storie scabrose di Colette. Una donna con quell’aria campagnola, ricamava il corredo imparando dalle suore, si evolveva molto più del marito.
Annie sente che scrivere di sua madre è come rimetterla al mondo. Vennero i giorni violenti della Francia occupata dai nazisti, lei si sforzava di dar da mangiare a tutti, arrivarono gli Alleati, gran festa. Raccontava gli anni della guerra come un romanzo: era stata la più forte avventura della sua vita, ma anche il dopoguerra era stato difficile.
I rapporti tra madre e figlia adolescente passavano dagli schiaffi agli abbracci, niente libertà, parlare di sesso era tabù; desiderava che Annie avesse tutto quello che lei non aveva potuto avere. I tratti del carattere sono situati all’interno della storia personale ma anche della condizione sociale. Amava i libri, niente per lei era più bello del sapere, “imparava attraverso di me, a cena chiedeva cosa avevo imparato a scuola”.
Ad un certo punto non è più seguita come modello dalla figlia, che impara a interessarsi di politica, erano gli anni della guerra di Algeria, a disprezzare le convenzioni sociali, religiose, Rimbaud. Prévert, James Dean diventano i suoi idoli. Per la madre invece ribellarsi aveva significato rifiutare la povertà, aveva faticato per far stare la figlia in un’aula universitaria, l’aveva mandata a Londra a studiare perché avesse una vita migliore della sua. Ora che è morta Annie ha l’impressione di vivere assieme a lei sposata con figli: si è creata una nuova forma di complicità che unisce. La disperazione è un lusso scriveva un giornale, anche scrivere un libro sulla propria madre dopo la morte è stato un lusso. Il tempo finale di vita di quella donna madre è ancora pieno di sfide: è spaesata nel nuovo quartiere borghese dove vivono le figlie, torna a Lillebonne, felice di avere di nuovo indipendenza, va in pellegrinaggio a Lourdes, ma non frequenta l’Università delle Tre Età “perché avrebbe avuto vicino solo dei vecchi”. Al lettore lasciamo il piacere di leggere l’esodo della vita di una donna del Novecento intersezionata tra grande Storia e affetti, narrata con bellissima struttura morfosintattica e incisiva forza del linguaggio, che scorre leggero e gradevole come un coppa di spumante.
Maria Luisa Simoncelli