Pandemia e guerra hanno  aumentato timori e incertezze

Dal 56° Rapporto Censis sulla situazione del Paese un invito a scelte coraggiose

Descrivendo la situazione del Paese nel suo 56° Rapporto, l’istituto di ricerca Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) rileva “tanti sprazzi di vitalità, tanta voglia di partecipazione, tante energie positive”, frapposti, però, agli ostacoli messi in campo dalla pandemia e dalla guerra, che hanno rimescolato le carte ed hanno costretto il Paese a porsi di fronte alla necessità di facilitare “riforme strutturali” messe in atto da un “intervento pubblico orientato da scelte coraggiose”. Solo in questo modo, afferma il Censis, sarà possibile guidare le quattro grandi transizioni così denominate: green, digitale, demografica, del lavoro.
“La società italiana, si afferma nel rapporto, è entrata nel ciclo del post-populismo. Alle vulnerabilità economiche e sociali strutturali, di lungo periodo, si aggiungono adesso gli effetti deleteri delle quattro crisi sovrapposte dell’ultimo triennio: la pandemia perdurante, la guerra cruenta alle porte dell’Europa, l’alta inflazione, la morsa energetica”. Il 92,7% degli italiani è convinto che l’impennata dell’inflazione durerà a lungo, il 76,4% ritiene che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari, il 69,3% teme che il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi), il 64,4% sta intaccando i risparmi per fronteggiare l’inflazione. Diventano così insopportabili i privilegi concessi alle classi più abbienti. Contrariamente al passato, almeno per ora, “non si registrano intense mobilitazioni collettive attraverso scioperi, manifestazioni di piazza o cortei”; c’è piuttosto un arretramento silenzioso nel privato. La conferma si è avuta nelle ultime elezioni, dove il primo partito è stato quello dei non votanti: quasi 18 milioni di persone, pari al 39% degli aventi diritto. In 12 province i non votanti hanno superato il 50%; tra le politiche del 2006 e quelle del 2022 i non votanti sono raddoppiati (+102,6%).

Con il progetto della Caritas “Mi sta a cuore – Curare il presente per sognare il futuro” sei giovani vivono a Roma un’esperienza di un anno a servizio degli altri e condividendo il cammino con altri giovani (Foto Caritas Italiana)

Per porzioni crescenti dei ceti popolari e della classe media il tradizionale intreccio lineare “lavoro-benessere economico-democrazia” non funziona più. I fatti degli ultimi anni – lockdown, taglio di consumi essenziali (dall’energia al carrello della spesa alimentare), la guerra in Ucraina – hanno creato in molti la convinzione che tutto può accadere, anche quello che fino a poco tempo fa era ritenuto impensabile. L’84,5% degli italiani è convinto che eventi lontani possano cambiare la propria quotidianità; il 61,1% teme che possa scoppiare un conflitto mondiale, il 58,8% che si ricorra all’arma nucleare, il 57,7% che l’Italia entri in guerra. Nell’insieme, oggi il 66,5% degli italiani si sente insicuro; erano il 56% nel 2029.

Quella del 2022 non sembra una Italia sull’orlo di una crisi di nervi ma “i meccanismi proiettivi tipici di una rampante società dei consumi, che in passato spingevano le persone a fare sacrifici per modernizzarsi, arricchirsi e imbellirsi, hanno perso presa e capacità di orientare i comportamenti collettivi”. Gli italiani non sono più disposti a fare sacrifici per vestirsi secondo i canoni della moda, per acquistare prodotti di prestigio, per sembrare più giovani. Il 36,4% non è disposto a sacrificarsi per fare carriera nel lavoro e guadagnare di più. 
C’è, poi, il tema delle insicurezze personali: il 53,0% teme la non autosufficienza e l’invalidità, il 51,7% di rimanere vittima di reati, il 47,7% l’insufficienza economica in vecchiaia, il 47,6% di perdere il lavoro e che diminuiscano le prestazioni sanitarie pubbliche. 
Sono più di 1,9 milioni (il 7,5% del totale) le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta, cioè 5,6 milioni di persone: 1 milione di persone in più rispetto al 2019. Di queste, il 44,1% risiede nel Mezzogiorno, detentore di tanti primati negativi. I giovani 18-24enni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione sono il 12,7% a livello nazionale e il 16,6% nelle regioni del Sud, contro una media europea di dispersione scolastica che si ferma al 9,7%. La quota di 25-34enni con il diploma è pari al 76,8% e scende al 71,2% nel Mezzogiorno; i 30-34enni laureati sono il 26,8% in Italia e il 20,7% al Sud; i giovani che non studiano e non lavorano sono il 23,1% dei 15-29enni in Italia ma nelle regioni del Mezzogiorno l’incidenza sale al 32,2%.
Inoltre, “l’Italia affronta la grande sfida della ripresa post-pandemia con una grave debolezza: la scarsità di risorse umane su cui far leva”. È il problema del cosiddetto “inverno demografico”, aggravato dalle conseguenze del Covid. Nel 2020 il numero di nati ogni mille abitanti è sceso per la prima volta sotto la soglia del 7 e con il 6,8 si è posizionato all’ultimo posto nella Ue (media 9,1). Se non si inverte questa tendenza, le previsioni stimano che la fascia attiva (15-64 anni) scenderà dall’attuale 63,8% sul totale al 60,9% nel 2030 e al 54,1% nel 2050. Secondo l’indagine del Censis, la grande maggioranza dei nuclei con capifamiglia under 45 che poco prima della pandemia avevano intenzione di fare un figlio ha deciso di rinviare (55,3%) o di rinunciare definitivamente al progetto genitoriale (11,1%).  
(a.r.)