Il rispetto del diritto dei più fragili è principio di umanità

Celebrata il 18 dicembre la Giornata internazionale per i diritti dei migranti

Papa Francesco a Malta nella primavera scorsa. L’incontro con i Migranti al Centro “Giovanni XXIII Peace Lab” (Foto Vatican Media/SIR)

È passata tra l’indifferenza, si può dire, generale la Giornata internazionale per i diritti dei migranti, proclamata nel 2000 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che l’ha fissata al 18 dicembre. Una data non a caso perché nello stesso giorno, nel 1990, era stata approvata la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. A sua volta, quel documento ha le sue radici nel disastro avvenuto sotto il tunnel del Monte Bianco nel 1972, quando un camion, che avrebbe dovuto trasportare macchinari, fu coinvolto in un incidente nel quale morirono 28 lavoratori clandestini originari del Mali.  

La Convenzione, redatta da un gruppo di lavoro istituito dall’Onu nel 1979, fu approvata solo il 18 dicembre 1990 ed entrò in vigore 13 anni dopo, quando fu raggiunto il numero minimo di ratifiche previsto. Ancora oggi, queste sono state approvate da meno di 70 Paesi e l’Italia, così come il resto dei Paesi europei, non è tra questi.
Il documento riconosce la specifica situazione di vulnerabilità dei lavoratori migranti e delle loro famiglie e promuove condizioni di lavoro e di vita dignitose e legittime. Fornisce, inoltre, una guida per l’elaborazione di politiche nazionali in materia di migrazione basate sul rispetto dei diritti umani e propone una serie di disposizioni per combattere gli abusi e lo sfruttamento dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie nel corso del processo migratorio.
Lo scopo è quello di prevenire lo sfruttamento e mettere fine ai movimenti clandestini o illegali, stabilendo le condizioni minime di riconoscimento e accettazione del migrante a livello universale. Un altro obiettivo importante è quello di giungere al superamento dei pregiudizi legati all’identificazione del “lavoratore migrante”, con lo “straniero”, che genera atteggiamenti di rifiuto da parte degli abitanti del Paese ospitante. È ormai indiscutibile, invece, il contributo che gli immigrati forniscono al mondo del lavoro; nonostante questo, continuano ad essere diffuse condizioni di sfruttamento da parte di famiglie ed aziende che continuano a praticare il lavoro in nero.
Sono minorenni non accompagnati, uomini maturi e giovani madri, che potrebbero raccontare al mondo la caduta e la rinascita, il dolore e la speranza, le lacrime e il sorriso ritrovato quando si trovano accolti con umanità. Questo grazie ai marinai del soccorso in mare, agli agenti di polizia del centro di identificazione, agli educatori, psicologi, assistenti sociali e docenti, quando svolgono il loro lavoro secondo coscienza. Ma anche ad ognuno di noi, quando incontriamo una di quelle persone e decidiamo di non voltare lo sguardo da un’altra parte.            
 (a.r.)