Mons. Annibale Corradini volle installare un modo nuovo e sicuro per il “concerto” del Campanone: fu il primo di tutta la Toscana
Il recente convegno sulla salute della torre civica, il “Campanone” caro a tutti noi di Pontremoli, ha risvegliato nello scrivente il desiderio di saperne di più sui bronzi che suonano a trenta metri da terra sopra le due piazze della nostra città. Pochi anni dopo la fine della guerra, l’allora proposto del duomo di Pontremoli, mons. Annibale Corradini, si convinse dell’urgenza di rendere più sicuro e meno gravoso per la comunità il suono delle campane della torre civica.
Correva l’anno 1951, e l’annuncio di quanto il parroco si proponeva di fare suscitò (c’era da dubitarne?) sia approvazione che critiche. Lanciò un appello sul Corriere Apuano e, poche settimane dopo, tornò a scrivere sul giornale precisando di non aver voluto imporre nulla né fatto pressioni, ma solo dare risalto a quanto si stava realizzando, in modo da eccitare la generosità e l’attaccamento dei pontremolesi alla loro ‘voce’. Per il Capodanno 1952, non si trovò nessuno che salisse a suonare le tre campane: campanùn, m-šàna e dìn-dìn.
Fu quello l’inizio della fine delle suonate manuali della torre maggiore di Pontremoli.
Mons. Corradini, preoccupato che, prima o poi, potesse capitare un incidente, era ormai deciso al grande passo, che significava, per Pontremoli, essere la prima località di tutta la Toscana a elettrificare le campane! Nel corso degli ultimi mesi del 1951 e dei primi del 1952, come attesta la corrispondenza fra il presule e l’ing. Lorenzi, si concluse l’accordo dopo che dubbi e richieste di chiarimenti ebbero avuto pronta e convincente risposta da parte del titolare della ditta milanese.
Le offerte superarono le 800.000 lire, delle quali 210.000 grazie alle iniziative benefiche promosse dall’Azione Cattolica. La spesa totale di oltre 1,6 milioni di lire venne coperta da altri contributi ministeriali e dalla parte di spettanza dell’amministrazione comunale, in particolare la spesa per i ceppi, ormai malridotti e quindi con pericolo che lasciassero cadere le campane. Annunciata sul Corriere Apuano del 17 maggio 1952, arrivò finalmente l’attesa giornata inaugurale del nuovo sistema di suono a motore elettrico, azionabile sia dalla torre che dalla sacrestia della cattedrale.
L’impianto, che venne inaugurato mercoledì 11 giugno, vigilia del Corpus Domini, presenti il Vescovo, mons. Giovanni Sismondo, e il Sindaco, Luigi Serni, fu il primo della nostra regione: precedette di quattro anni quello della cattedrale di Firenze, cioè delle campane poste sul Campanile di Giotto, attivo dal 1956, e di altre chiese della città gigliata.
L’anno successivo, fu la volta dei campanili di un centro del Mugello, Borgo S. Lorenzo, e di un altro paese della Lunigiana, Fivizzano, che inaugurò le nuove campane elettriche il 20 giugno 1957, in occasione del Congresso Eucaristico presente mons. Fenocchio.
Pur condividendo appieno le ragioni che settant’anni fa spinsero mons. Corradini a varare una nuova era, è un peccato che si sia persa la tradizione campanaria locale (non solo a Pontremoli, ma in tutta la Lunigiana): quella di suonare le campane ritmicamente, a mano, mediante funi, cordette, imbracciando direttamente i batacchi delle campane piccole e facendo andare a distesa e a intervalli solo la campana più grossa. In lingua dialettale pontremolese era il cosiddetto stram-šèr, italianizzato in “stramezzare”. Le suonate manuali, nelle quali il campanaro esperto poteva esprimere tutta la propria bravura e fantasia, hanno lasciato posto a sistemi più sicuri, ma anche più standardizzati.
Una piacevole e struggente poesia in dialetto di Guido Moscatelli (l’ultima strofa è riportata qui a fianco), composta giusto una settantina d’anni fa, personifica il Campanone (impagabilmente definito dall’autore vecc’ Šümianàss, vecchio Geminianaccio), il quale, parlando fra sé e sé, lamenta la propria condizione dopo l’arrivo dell’elettricità. È stupito e mai si sarebbe sognato di dover obbedire a quella ‘filona’ della corrente elettrica, che arriva all’improvviso, lo prende di qua e di là e lo obbliga a suonare anche quando non ne avrebbe voglia: così, ricorda con nostalgia i tempi ormai tramontati, quando lui e le sue compari di minor taglia ‘se la stramezzavano’ contenti di dare spettacolo a tutta la gente che accorreva in piazza.
L’ultima strofa della poesia “Al Campanun” di Guido Moscatelli:
Adèss a gh’ëma dëntr’un gran dulùr
Par nun pudér, al fèst, mai pü stramšèr.
A düstésa, però, cun tant amùr,
Puntrém’l’i m’sentirà almén sunèr.
Ogni suono era codificato, ce n’era uno per ogni occasione e ogni necessità, compresi gli incendi e le alluvioni. Adesso, prova un grande dispiacere non potendo più stramezzare… però, si fa animo, cerca di pensare positivo: a distesa, con tanto amore, potrà ancora suonare e Pontremoli lo sentirà! In realtà, dopo settant’anni, è costretto a moderare il suo potente slancio affettivo, e la motivazione è comprensibile: il gigante che d’an piàssa i s’àusë pr’aria e che lo ospita è sotto osservazione. Pòvar Campanùn: i’n’pudév pü stramšèr, adèss’ i’n’ pë pü gnanca sunèr cun tüta la së forsa … E noi, che gli vogliamo bene, gli auguriamo di poter tornare presto a fare sentire senza alcun timore la së guša da canùn con prolungati e pieni doppi insieme alle sue ‘sorelle’!
Maurizio Ratti
Per le ricerche utili alla redazione di questa ricerca, un sentito ringraziamento vada all’arch. Emanuela Curadi, per aver reso possibile l’ascesa alla torre e fornito utili informazioni, e al M.° Riccardo Madoni, direttore della Musica Cittadina, per aver gentilmente eseguito l’analisi tonale della campana ‘mezzana’, di cui nessuno conosceva più la nota nominale.