Rigoni Stern e la condanna  del fascismo e della guerra

Il 1° novembre ricorrevano i cento anni dalla nascita. Nei suoi libri il monito contro il possibile ritorno di dittature

Mario Rigoni Stern (1921 – 2008)

Non sono sempre né solamente i testi di recente pubblicazione che possono essere di aiuto a capire meglio la realtà in cui viviamo; un esempio viene da Mario Rigoni Stern, che della memoria delle due guerre mondiali e della condanna delle stesse e di chi le ha volute ha fatto ragione di vita, ripresosi dalle tribolazioni patite nelle campagne di Francia, Albania, Grecia, Russia e, per finire, nei campi di concentramento tedeschi per non aver accettato di arruolarsi nell’esercito della Repubblica di Salò. La valutazione che dà sia della guerra in generale che delle due in particolare e, per la seconda, del regime fascista che fu all’origine di quella tragedia, non ammette scuse. La guerra semina morte, è assurda, condotta da uomini che mandano al macello milioni di altri uomini: per la voglia di lasciare un segno nella storia, cui spesso si aggiungono incompetenza o impreparazione.
Il regime fascista, che aveva accecato la maggior parte degli italiani, soprattutto i giovani, cresciuti a “libro e moschetto”, ha poi rivelato la sua vera faccia, portando alla rovina un intero Paese. Ecco perché Rigoni Stern è ancora molto importante oggi, a 100 anni dalla sua nascita e a 13 dalla morte (16 giugno 2008). Proprio in questo momento in cui – in Italia e non solo – si torna ad usare espressioni e gesti di tipico stampo fascista, mentre tanti cercano di annacquare questi tristi ritorni riducendoli a innocuo folclore.
Nessuno sa dire quanto alto sia il rischio che certi errori del passato possano ripetersi ma non sono pochi i segnali preoccupanti – a partire dal costante indebolimento del confronto democratico tra i partiti – che inducono a non abbassare la guardia in difesa di una democrazia conquistata a così caro prezzo. È più che giusto, perciò, stigmatizzare quelle ideologie che sostengono il sovranismo e il populismo perché l’amore per la propria patria non può escludere il rispetto nei confronti di quelle degli altri popoli.
Scriveva Mario Rigoni Stern ne “I racconti di guerra” a proposito dell’esame di coscienza che fece riconsiderare a molti il significato del sostantivo ‘patria’: “L’educazione che da ragazzi e da giovani adolescenti ci avevano impartito insegnanti, sacerdoti e perfino famigliari, ci portò a considerare la nostra come la migliore di tutte le patrie, la più gloriosa e la più forte. I motti mussoliniani che erano scritti sui muri delle case di tutti i paesi, le cerimonie, i riti, le canzoni che ci facevano cantare ci avevano, alla fine, convinto che il nostro primo obbligo era Credere, Obbedire, Combattere e che l’obbedienza doveva essere Cieca, Pronta e Assoluta: questo era il nostro dovere da compiere per Dio, la Patria e la Famiglia. Ma che amarezza prende il cuore, che dolore pensare che tanti nostri compagni sono caduti sui campi di battaglia per questi falsi scopi che avevano deviato la nostra intelligenza e i nostri sentimenti più naturali. E che impotente rabbia, dopo, verso coloro che così veramente avevano tradito e rovinato la nostra patria e la nostra gente, e ingannato la nostra fede”.
Lo scrittore ci aiuta anche a comprendere perché è giusto giocare d’anticipo sulla possibilità di ripresa di certe ideologie ed è bene ricordare certi avvenimenti del passato perché servano di monito soprattutto ai giovani. Scrive, a commento del viaggio nei luoghi in cui fu prigioniero nei lager tedeschi: “Ora so perché voglio tornare; è troppo labile la memoria degli uomini e poi voglio che mio figlio, mia moglie, mia nuora e anche l’interprete intuiscano quello che abbiamo patito per colpa del fascismo. Voglio che lo sappiano i miei lettori, anche se sono storie dell’altroieri. Anche se ancora pochi di noi sono testimoni, questo nostro passato non deve restare nell’oblio perché ora i nostri ventri sono sazi e le case calde, perché abbiamo un letto pulito per dormire e i nostri nipoti sorridono compassionevoli se ci vedono raccogliere e portare alla bocca le briciole che rimangono sulla tovaglia o se mettiamo da parte un pezzo di pane rimasto sulla tavola… Faccio mie le parole di Primo Levi: Voi che vivete sicuri / nelle vostre tiepide case, / voi che trovate tornando a sera / il cibo caldo e visi amici… / Meditate che questo è stato”.

Antonio Ricci