
Tra un bisticcio e l’altro, alzando la voce in cerca di consensi politici, il tempo scorre, indifferente alle umane tragedie, alle storture della burocrazia, alle vacue promesse; intanto di lavoro, diritto sancito dalla nostra Costituzione, si continua a morire. Di sicurezza sui luoghi di lavoro abbiamo già parlato sul nostro settimanale, ma di fronte alla frequente ecatombe non possiamo non riaffermare indignazione, dolore e vergogna.
La maggior parte di noi, con l’argento fra i capelli, è cresciuta ammirando quei padri che, svolgendo lavori umili e pesanti, credevano di costruire un mondo di dignità, rispetto, tutela nei confronti di ogni categoria lavorativa. E noi abbiamo creduto che la diffusione della cultura, la considerazione dell’importanza del lavoro onesto questo sarebbe divenuto oasi sicura per chi si sacrifica per sé e per la propria famiglia, con ricadute positive sull’intera società.
Ed invece oggi di lavoro si muore nei modi più assurdi ed atroci. Da gennaio nel nostro Paese sono morti circa 800 lavoratori. Figli, madri, padri, fratelli, amici … partiti col sorriso, senza far più rientro fra le mura domestiche. Una strage senza fine di fronte alla quale nessuno può restare indifferente o impassibile. La sicurezza, sul posto di lavoro, richiede l’adozione di apposite misure preventive e protettive, con particolare attenzione alle categorie più fragili, come le donne in gravidanza e i disabili. L’Italia purtroppo risparmia sui controlli, sono spariti, o quasi, gli ispettori preposti a ciò perché, quando c’è di mezzo l’aspetto economico, la sicurezza passa in secondo piano.
Chi di dovere dovrebbe farsi un serio esame di coscienza. Le disgrazie possono capitare, ma quando sono volute perché si vuole produrre di più, lungi dal mettere in sicurezza i macchinari, allora diventano inaccettabili. Sembra divenuto di moda il precetto di intervenire dopo le tragedie. Non è neppure civiltà. Salvare vite umane è un dovere ed un obbligo morale, come sempre evidenzia Papa Francesco. Le cose urgenti che devono essere assolutamente cambiate sono tante, e pure troppe, per chi lavora. Battersi il petto, davanti alle bare, è ipocrisia.
Urgono leggi ad hoc, anticipando i guasti e i disastri con una valutazione efficace e predittiva, grazie anche alle moderne attrezzature. I famigliari delle vittime sul lavoro devono essere sostenuti ed assistiti nelle loro necessità come accade per quelli delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. Nella consapevolezza che ogni vita è dono ed ha diritto che il ricordo e la riconoscenza la consegnino all’eternità.
I morti non chiedono il pianto, esso è per noi vivi. Per il loro sacrificio, l’impegno concreto affinchè la sofferenza del presente non annulli un futuro migliore. E su tale terreno ci aspettiamo che sia la politica, in primis, a dare segnali chiari, credibili, rispettosi della sicurezza. Quindi della vita.
Ivana Fornesi