C’è un mondo sommerso dietro il commercio online di cui siamo consumatori: è quello dei lavoratori della logistica. Sono le decine di migliaia di magazzinieri, facchini, autotrasportatori che garantiscono consegne al nostro domicilio in tempi celeri e a prezzi inferiori a quelli del commercio tradizionale. Un mondo di uomini (ma anche donne), frequentemente a bassa scolarizzazione, spesso immigrati, che nei grandi poli logistici operano in condizioni umilianti. La morte del sindacalista Adil Belakhdim, ucciso da un autotrasportatore che ha forzato un picchetto di protesta a Biandrate, nel Novarese, e il picchetto dei lavoratori assaltato da una sorta di guardia privata a Tavazzano, interland di Lodi, squarciano definitivamente il velo sul vero volto di un settore cruciale dell’economia del nostro tempo.
Emerge così che giganti dell’e-commerce, dopo anni di profitti record e in continua crescita, ulteriormente irrobustiti durante la pandemia, fondano le loro fortune su una compressione dei costi che colpisce la filiera del lavoro. Micro cooperative, spesso fittizie, che in enormi padiglioni occupano migliaia di lavoratori senza tutele, in competizione tra loro per rifornire autotrasportatori che lavorano per ditte disposte a consegnare in cambio di margini risicatissimi imposti dalle grandi compagnie e resi stabilmente bassi dalla concorrenza dell’est Europa.
La chiusura di sedi periferiche, come quella contro cui manifestava Belakhdim con i suoi lavoratori, finalizzate a nuovi risparmi e nuova concorrenza sulla manodopera, amplificano dinamiche che riportano il lavoro a una condizione ottocentesca. Ma i padiglioni e i piazzali in cui si formano i profitti dei giganti del commercio elettronico sono solo la punta dell’iceberg di un mondo del lavoro deteriorato.
Le statistiche raccontano di 4,3 milioni di lavoratori in Italia con un salario orario inferiore ai 9 euro, spesso all’interno di contratti collettivi siglati anche da quei sindacati confederali che si oppongono ad un salario minimo per legge; di 10,4 milioni di persone a rischio povertà, tra i quali quattro milioni di disoccupati e 6,3 di occupati in situazioni instabili o deboli; di 5,7 milioni di persone già classificate come povere assolute, secondo Istat; di giovani tra 18 e 35 anni che, secondo il centro studi Eures, nel 54% dei casi ha lavorato in nero, nel 61,5% ha accettato un lavoro sottopagato, nel 32,5% ha svolto lavori mai retribuiti.
Sono numeri che reclamano un sussulto di dignità: non solo da parte degli operatori della logistica che non accettano le dinamiche dello sfruttamento, ma anche da parte di chi, spesso da settori politici e intellettuali sedicenti di sinistra, indica la povertà come colpa e la disoccupazione come la condizione di sfaccendati ingiustamente sussidiati.
Davide Tondani