Arrivò nella primavera 1521 a scegliere i marmi destinati alle tombe dei Medici
Se ne era andato nel 1518, di fatto obbligato dal Papa ad utilizzare le cave di Pietrasanta, ma anche per quei frequenti conflitti che avevano caratterizzato il suo rapporto con i cavatori: Michelangelo era il migliore, ma sapevano di esserlo anche gli uomini che riuscivano ad estrarre dalle Apuane un marmo unico. Tornò a Carrara il 9 aprile 1521: gli servivano i marmi per il suo nuovo incarico, le tombe destinate alla Sacrestina Nuova di San Lorenzo in Firenze: Gli erano state commissionate dal card. Giulio de’ Medici, nipote di papa Leone X (Giovanni di Lorenzo de’ Medici) e prossimo egli stesso al soglio pontificio dove sarebbe salito solo due anni dopo con il nome di Clemente VII.
Era stato proprio Leone X ad insistere perché Michelangelo lasciasse le cave di Carrara per quelle versiliesi sul monte Altissimo, in territorio mediceo. Ma nelle montagne di Seravezza il Maestro trovò sì un marmo di qualità, ma anche delusioni e frustrazioni: mancava la strada e i cavatori non avevano le capacità alle quali si era abituato nelle sue lunghe frequentazioni a Carrara. Inoltre il progetto della facciata per la chiesa di San Lorenzo in Firenze si era interrotto: Michelangelo si era procurato una parte dei marmi, aveva sostenuto spese, predisposto un modello, soprattutto aveva applicato tutto il suo genio per quella che doveva essere, sono parole sue, “d’architectura e di schultura, lo spechio di tucta Italia”.
Come noto l’opera non venne mai compiuta e la facciata resta ancora oggi spoglia, senza l’abito che le aveva disegnato il Maestro. Adesso però c’era questo nuovo incarico, le Tombe Medicee; e serve marmo, ancora una volta il migliore. Il ritorno a Carrara è proficuo: accolto come si deve accogliere un artista esigente ma che porta in città lavoro e denaro come nessun altro. Dieci giorni dopo l’arrivo firma i primi contratti per i marmi che devono essere “netti”, senza alcuna imperfezione, soprattutto quelli per le statue e i cavatori si impegnano a lavorare solo per lui!
Come già accaduto in altre sue opere monumentali, Michelangelo modifica più volte il progetto per la Sacrestia Nuova, scegliendo infine la soluzione con le tombe addossate alle pareti. Avrebbe ultimato la prima nel 1526: è quella di Lorenzo de’ Medici, con la figura del “pensoso duca” – come lo avrebbe definito il Vasari – affiancato dall’Aurora e dal Crepuscolo; poi sarebbe stata la volta della tomba di Giuliano de’ Medici (nella foto), completata dalle figure della Notte e del Giorno.
A Carrara lavorarono per mesi all’estrazione e alla scelta di blocchi che potessero compiacere il Maestro: quelli idonei venivano poi trasportati alla Marina e, via nave, a Pisa da dove, sui “navicelli” (imbarcazioni idonee e dal poco pescaggio), risalivano l’Arno fino a Signa, ormai alle porte di Firenze. Il rapporto tra Michelangelo e Carrara continuerà ancora dopo il 1521, ma egli non sarebbe più tornato nelle cave e tra i cavatori su quelle Apuane dove aveva trascorso lunghi mesi e che lo avevano folgorato a 22 anni in occasione del suo primo viaggio, nel 1497, per la scelta del marmo dal quale avrebbe estratto la Pietà.
Una mostra fotografica a Pistoia fino al 25 luglio
Da Michelangelo a Warhol Amendola racconta il bello
E’ stata inaugurata a Pistoia l’8 febbraio e resterà aperta fino al 25 luglio in Palazzo Buontalenti e nell’Antico Palazzo dei Vescovi la mostra “Aurelio Amendola – Un’antologia. Michelangelo, Burri, Warhol e gli altri”, antologica del grande maestro della fotografia: la bellezza raccontata in trecento immagini di un abile sperimentatore di accostamenti inediti tra Antico e Contemporaneo, è tra i fotografi più eleganti e prolifici del nostro tempo: le sue immagini hanno una forza antica di milioni di anni e, allo stesso tempo, trasmettono pura grazia e melodia.
La mostra della Fondazione Pistoia Musei vuole essere un omaggio alla carriera di Amendola (Pistoia 1938) autore di grande intensità, capace di trasformare elementi naturali in metafore di sensualità e carnalità, saldamente ancorato al contesto culturale toscano e alla sua città in particolare, e tuttavia non soltanto artista del genius loci ma interprete della creatività universale.
Interprete per eccellenza dell’opera di Michelangelo, sublime testimone dell’antico nei suoi scatti dedicati a Canova, Bernini, Jacopo della Quercia, Donatello e Giovanni Pisano, e del contemporaneo con i suoi ritratti di Burri, de Chirico, Warhol, Manzù, Vedova, Ceroli, Lichtenstein, Kounellis e molti altri, Amendola è stato capace di dialogare con lo spirito degli artisti, restituendone stile e intensità. Lontano dal modello documentaristico, con la grazia speciale della qualità atmosferica e sensoriale dei suoi scatti, la fotografia di Aurelio Amendola non è mai oggetto estetico ma un atto poetico, nello stesso tempo carnale e spirituale, meditativo e seduttivo.
Paolo Bissoli