Intervista a don Samuele Agnesini direttore dell’Ufficio liturgico diocesano
“La pubblicazione di un libro liturgico è sempre un dato rilevante per la vita della Chiesa, soprattutto quando si tratta dell’edizione di un messale”. Don Samuele Agnesini, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano, e vicario parrocchiale a Marina di Massa, prende spunto dall’introduzione del nuovo messale, per riflettere su “pandemia e luoghi di culto”. “Il messale che stiamo per accogliere – aggiunge – è da considerare un’opportunità, nella logica di quello che Romano Guardini, grande teologo e liturgista, indicava come priorità nel lontano 1964: “reimparare l’atto di culto”.
Di recente i vescovi toscani hanno ringraziato le parrocchie “per l’attenzione e l’impegno con cui applicano le misure che sono state richieste per tenere aperti i luoghi di culto e svolgervi i riti liturgici comunitari”. Alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi possiamo affermare che le chiese sono luoghi sicuri?
Dal 18 maggio ogni diocesi si è impegnata a mettere in atto il protocollo di ripresa delle celebrazioni firmato d’intesa con il Ministero degli Interni il 7 di quel mese. Questa attenzione igienico-sanitaria è stata osservata in maniera molto decisa dalle comunità cristiane, sapendo che dal loro agire dipendeva la possibilità di poter celebrare insieme i sacramenti. Per questo impegno, che ha visto migliaia di volontari impegnati nel servizio d’ordine e in quello di sanificazione degli ambienti, le nostre parrocchie e comunità si sono rese modelli di responsabilità sociale. Le Chiese sono luoghi sicuri proprio grazie a questo sforzo sovrumano che ha permesso di riprendere e continuare la vita liturgica in sicurezza. Il ‘’grazie” dei vescovi è un bel segno di attenzione nei confronti delle tante persone che si sono fatte carico di questo gravoso e spesso estenuante impegno.
“Valorizzare Celebrazioni eucaristiche, anche infrasettimanali, destinate specificamente ai ragazzi e alle loro famiglie”, lo suggeriscono i vescovi toscani. Potrebbe essere questa una strada praticabile per una sorta di “catechesi liturgica” che coinvolga i più giovani?
I vescovi italiani nella presentazione della Terza edizione del Messale Romano chiedono che si torni a una catechesi di tipo mistagogico. Quindi non partire dai contenuti ma dall’esperienza liturgica per arrivare a determinare la vita credente e i suoi contenuti. Credo che prendere sul serio questa prospettiva esperienziale della liturgia sia fondamentale. In questa fase, in cui è previsto il distanziamento, partire dalla liturgia vissuta in piccoli gruppi durante i giorni feriali può essere un’occasione di riscoprire lo stretto legame tra fede celebrata e fede vissuta. Studiare tempi e modalità, tra le varie forme celebrative che la Chiesa ha nel suo bagaglio liturgico, può essere una vera opportunità di mettere in atto il monito di riscoprire una catechesi di tipo mistagogico.
La pandemia, si ripete, potrebbe essere l’occasione per un rinnovamento a tutti i livelli. Forse, per quanto riguarda le celebrazioni liturgiche, è arrivato il momento di provare a valorizzare, nel pieno rispetto delle norme anti contagio, momenti comunitari con tempi e forme diverse?
La paura è la più grande nemica del cristianesimo. Dobbiamo rompere gli schemi (orari, modalità, ripetitività di proposte) per metterci realmente in ascolto dei “segni dei tempi” che questa ora porta con sé. Per paura spesso si rimane ancorati alle forme di una fede troppo schematica e afona. Aprirsi alle domande che il mondo porta con sé, non è una sottomissione, ma un ascolto nella logica di “Gaudium et Spes”. La liturgia per definizione è comunitaria, pertanto non dobbiamo avere paura di pensare tempi e modalità che valorizzino e facilitino il celebrare insieme. Anche se il distanziamento fisico caratterizza questo tempo, il ritrovarci per cantare la lode di Dio deve essere facilitato anche per evitare la costruzione di muri di individualismo tanto facili a ergersi nel nostro tessuto sociale.
Renato Bruschi