12 novembre 1920. La firma fissava il confine orientale e stabiliva anche la nascita dello stato libero di Fiume ponendo fine alla “sovversione” di D’Annunzio.
L’opera del min. Carlo Sforza e il contributo del sen. Quartieri.
Cento anni fa, il 12 novembre 1920, a Rapallo la firma del trattato fra l’Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (che entro il decennio sarebbe confluito nel nuovo Regno di Jugoslavia), “risolveva” quel problema dei confini orientali italiani rimasto aperto al termine della Prima Guerra Mondiale. Un atto che poneva anche fine alla “sovversione fiumana” che “dopo quindici mesi di illegalità” sarebbe stata stroncata poche settimane dopo “da un governo e da uno Stato di diritto” come ha scritto di recente Lucio Villari (La luna di Fiume, Guanda 2019).
Protagonista di quell’avvenimento, noto appunto come “il trattato di Rapallo”, fu Carlo Sforza (Montignoso 1872 – Roma 1952), diplomatico e politico che nel giugno 1920 era stato nominato Ministro degli Esteri nel nuovo governo di Giovanni Giolitti, a sua volta succeduto a Francesco Saverio Nitti. Il mandato di Sforza era risolvere la “questione orientale”, grave elemento di conflittualità sociale e politica che aveva creato una situazione di instabilità nella quale si era inserito Gabriele D’Annunzio che nel settembre 1919 aveva occupato Fiume con i suoi legionari, rivendicandone l’annessione all’Italia in virtù di presunti accordi prebellici contenuti nel Patto di Londra con gli Alleati anglo-francesi. Accordi che in realtà non erano mai stati sottoscritti.
L’occupazione del territorio fiumano si protrarrà fino a tutto il 1920: il governo del “vate” sarebbe stato scalzato dalle truppe italiane inviate a combattere contro altri italiani che avevano disertato dall’esercito del Regno per “conquistare” la città affacciata sul Quarnaro. L’invio dell’esercito fu necessario vista l’inutilità di tutti i tentativi diplomatici e politici di far recedere D’Annunzio e per sopprimere la ribellione ancora una volta sobillata dallo stesso proprio contro il trattato di Rapallo che istituiva a Fiume uno “stato libero”. Un mancato ritiro che fece scorrere altro sangue negli scontri del Natale 1920 che misero la parola fine alla “impresa fiumana”.
L’impostazione politica mazziniana di Carlo Sforza, unita al mandato ricevuto da Giolitti, lo spronò a intraprendere ogni azione per portare a compimento il disegno risorgimentale. E ci riuscì, completando la definizione dei confini italiani lungo l’asse dell’arco alpino, con l’annessione di Gorizia, Trieste e di altri territori ad est di queste, compresa la città di Zara e alcune isole, ma che sarebbero poi stati di nuovo “perduti” alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
E per Fiume contribuì in modo determinante alla scelta di attribuirgli quel carattere di indipendenza internazionale che avrebbe soddisfatto tutti, tranne ovviamente D’Annunzio. Il quale fece in modo che Sforza fosse additato, anche in Parlamento, come un “traditore” delle legittime aspirazioni dell’Italia e del tentativo di riscattare la presunta “vittoria mutilata”.
A Rapallo la firma del trattato fu l’ultimo atto di una trattativa complessa, ma che Sforza sapeva si dovesse compiere nel più breve tempo possibile. Il suo interlocutore era Ante Trumbic, ministro degli Esteri del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni che già aveva rappresentato a Parigi nella Conferenza di Pace del 1919. Pur non mancando forti contrasti, ai due uomini politici furono sufficienti tre colloqui nel mese di luglio per imbastire i principi di un’intesa che, grazie al ruolo e all’azione diplomatica di Francia e Inghilterra – nazioni dalle quali Sforza ottenne un indispensabile sostegno – alla fine si basò sullo status indipendente di Fiume liberata dall’ingombrante e non più sostenibile presenza del governo di D’Annunzio e sul confine italiano lungo i territori delle Alpi Giulie. La sessione conclusiva tra le parti iniziò il 7 novembre a Villa Spinola, elegante residenza che sorge nella località di San Michele di Pagana, frazione rapallese sul confine con Santa Margherita Ligure.
Con Sforza sedeva il ministro della Guerra Ivanoe Bonomi, mentre il presidente del Consiglio, Giolitti, sarebbe arrivato a Rapallo il giorno della firma. Nonostante le ultime resistenze del Regno di Serbia, dopo cinque giorni di trattative e grazie anche alla pressione internazionale, il Patto venne firmato e Sforza ebbe la soddisfazione di vedere accogliere quasi tutte le richieste che aveva messo sul tavolo. Il confine orientale d’Italia si spostava così oltre il crinale delle Alpi Giulie e diventavano italiane anche Zara e le isole del Quarnaro Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa.
Un risultato senza dubbio di grande rilevanza, che non poteva certo essere sminuito dagli attacchi che comunque vennero scagliati dalle forze reazionarie che si apprestavano a sconvolgere la società italiana. Un risultato di grande visibilità internazionale, che in qualche misura riabilitava l’Italia che solo poco più di un anno prima aveva offerto una pessima immagine quando il presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando e il ministro degli Esteri Sidney Sonnino avevano abbandonato la Conferenza di Pace di Parigi.
L’applicazione del trattato vide il diretto coinvolgimento anche del senatore bagnonese Ferdinado Quartieri che nel 1921 ebbe l’incarico di presiedere la commissione per la delimitazione puntuale dei confini dello Stato di Fiume nei confronti del Regno d’Italia e del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Quartieri fece anche parte della conferenza tecnica prevista dal trattato di Rapallo per regolare i rapporti economici tra i due Regni.
Paolo Bissoli