
La risposta dell’Eurogruppo ancora condizionata dai diversi punti di vista degli Stati membri
Le bocce non sono ancora ferme per quanto riguarda i provvedimenti che l’Ue adotterà in campo economico per far fronte a questa crisi devastante e già, specie nel nostro Paese, si è alzato un polverone che rischia di rendere grigi tutti i gatti che vi si trovano coinvolti. Hanno iniziato Salvini e la Meloni, usando espressioni quanto mai forti nei confronti del governo e dell’Europa.
Hanno parlato, così, di “strozzinaggio legalizzato”, di “drammatica Caporetto”, di “truffa ai danni dei nostri figli”, fino a giungere a formulare l’accusa di “alto tradimento” nei confronti del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del ministro delle Finanze Roberto Gualtieri, più il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Non c’è da stupirsi, quindi, se, in risposta ad attacchi di tale portata, Conte ha perso l’imperturbabilità che gli deriva dal suo essere avvocato e, nel corso della conferenza stampa serale, ha attaccato, citando nomi e cognomi, i due leader della minoranza, accusandoli, in concreto, di volere il male dell’Italia.
Un modo non proprio canonico di “tenere a bada” la minoranza: in effetti, Conte aveva il diritto di controbattere ma utilizzando canali diversi da quello che aveva tutto il carattere di una comunicazione al Paese con l’intento (almeno iniziale) di compattarlo attorno all’azione del governo.

È pur vero che parlare, nel XXI secolo, di regole di buona creanza in politica può suscitare reazioni che vanno dal sorriso di compatimento alla risata più sguaiata, ma noi restiamo fedeli all’idea che chi governa abbia maggiori responsabilità nella conduzione del dibattito politico rispetto a chi è all’opposizione.
Detto questo, si torna a bomba: niente di definitivo è uscito dalla riunione dell’Eurogruppo, anche perché saranno i capi di governo a ratificare le misure che l’Ue sarà capace di mettere in campo per fronteggiare una crisi che non trova paragoni nemmeno con quella uscita dalla seconda guerra mondiale. Tuttavia, non si può non dire che il lavoro ai fianchi dei partner (in prevalenza i Paesi nordici) più restii ad allargare i debiti già notevoli dei Paesi del Mediterraneo non stia dando i suoi frutti.

Ci sono ancora non pochi nodi da sciogliere, questo è altrettanto vero. Uno riguarda i tempi e i modi con cui vengono prese le decisioni a livello comunitario. Nessuna possibilità di tenere il passo di carica della crisi che in poche settimane, se non giorni, ha sconvolto il panorama internazionale, non solo europeo: se prima, parlando di Pil, faceva notizia un calo di qualche decimale, ora si va a decine e non è dato sapere quanto i calcoli siano affidabili.
Per contro, anche le “filosofie” finanziarie hanno segnalato movimenti tellurici di rilievo. Chi parla più di limiti di indebitamento, di divieto degli aiuti di Stato? Eppure erano dogmi giudicati essenziali dai “sacerdoti” del rigore finanziario! Allo stesso modo, una riflessione andrà fatta sui meccanismi che portano alle decisioni.
In questi giorni le istituzioni comunitarie non hanno sfigurato: tutto sommato, Bce, Parlamento europeo e, in parte, la Commissione hanno potuto prendere decisioni rapide e più solidali. A stridere sono ancora una volta gli ingranaggi di quelle istituzioni dove siedono separatamente gli Stati membri, una per tutte: l’Eurogruppo. Lì gli interessi di parte hanno ancora la precedenza e su quelle assise si dovrà lavorare in futuro per non disperdere la dolorosa lezione che la pandemia sta impartendo.
(a.r.)