Come spesso accade, dopo lo smarrimento dovuto al primo forte impatto anche le congiunture peggiori rientrano pian piano in una “normalità” che, pur continuando a fare i conti con l’emergenza, fa calare il livello di isteria collettiva. Sì, perché ancora una volta si deve parlare di isteria per definire le reazioni che sono seguite alle prime notizie della diffusione del Covid-19 (a tutti più noto come “Coronavirus”) nel nostro Paese. A far salire la tensione hanno concorso diversi fattori.
Tra questi, dispiace dirlo, in prima fila ci sono i mezzi di informazione, che non si sono distinti per uno stile misurato, se è vero, come è vero, che per giorni e giorni telegiornali e giornali si sono aperti con veri e propri bollettini di guerra.
Le reazioni non si sono fatte attendere: la paura ha preso il sopravvento sotto forma di assalti ai supermarket, diffidenza nei rapporti interpersonali o richieste di cordoni sanitari ben oltre le reali necessità. Non altrimenti si stanno comportando all’estero con limitazioni agli arrivi dall’Italia giustificabili entro certi limiti ma che hanno anche molto di irrazionale.
Non ha avuto vita lunga nemmeno l’appello a far fronte comune contro l’emergenza. Non solo si è dato spazio ai campanilismi e alle diatribe tra gli stessi esperti in materia sanitaria: anche la politica ha fatto la sua parte. Se nei primi giorni i leader nazionali sono riusciti a tacere, ci hanno pensato i “governatori” delle Regioni più colpite a mettersi in vetrina (magari con un occhio ai sondaggi) per far capire che da loro passava l’estremo argine di difesa. Invocando, prima, provvedimenti restrittivi per poi – avvertito il cambiamento di aria con le prime proteste dei settori produttivi – chiamarsi fuori e spostare sul governo le responsabilità delle norme più drastiche.
Non che il governo non abbia le sue colpe, avendo dato l’impressione di essersi fatto cogliere del tutto di sorpresa da una crisi “annunciata”, essendo la stessa in atto già da qualche settimana in Cina. Ci ha pensato il presidente Mattarella a ricordare che “l’unità di intenti e i principi di solidarietà sono un grande patrimonio per la società, particolarmente in momenti delicati per la collettività” e costituiscono anche un dovere.
Appare, invece, solo un’operazione di facciata la proposta di un governo di unità nazionale, specie da parte di chi, come Salvini, accusa l’esecutivo di totale incapacità e inadeguatezza e, neanche troppo velatamente, pone come punto di arrivo nuove elezioni nel più breve tempo possibile.
A chi può giovare una crisi di governo in un momento come questo? Non certo al Paese né ai suoi cittadini. In simili frangenti, più che mai, il compito della opposizione è quello di pungolare il governo con proposte ragionevoli, riservando la resa dei conti a quando la crisi sarà superata.
Antonio Ricci