A Villafranca la conferenza di Edoardo Martinelli, uno dei “ragazzi” di don Lorenzo Milani a Barbiana
La sala del chiostro di S. Francesco a Villafranca gremita di persone la sera dello scorso venerdì, non ha fatto altro che confermare, se pure ce ne fosse bisogno, la grande forza di richiamo che don Lorenzo Milani e i suoi “ragazzi” della scuola di Barbiana continuano ad esercitare a più di 50 anni dalla morte del sacerdote fiorentino e dalla conseguente fine di quella irripetibile esperienza. Protagonista della serata, Edoardo Martinelli, nativo di Rho (MI) – ma con radici lungianesi a Merizzo di Villafranca – che ha frequentato la scuola di Barbiana dal 1964 al 1967, giuntovi a seguito di un rinvio a settembre in storia e italiano.
Martinelli ha lavorato a lungo nelle scuole di Prato come esperto esterno sui temi del disagio e della disabilità e nei laboratori sull’integrazione scolastica di Andrea Canevaro, pedagogista di prestigio internazionale impegnato sul fronte dell’inclusione sociale e padre della pedagogia speciale in Italia. Al centro dell’intervento di Martinelli, la figura del Priore nella sua attività di educatore.
La conversazione è iniziata dalla prima esperienza di scuola messa in atto da don Milani nella parrocchia di S. Donato a Calenzano (FI). Inviato lì come coadiutore del parroco, il sacerdote, dal 1948 al 1954, riesce a raccogliere attorno a sé un centinaio di giovani di diversa estrazione, dando il via all’esperienza pedagogica che poi sboccerà nella sua completezza a Barbiana. Quello che maggiormente dà noia è il fatto che riesca a far dialogare tra loro giovani con idee diverse.
Siamo nel periodo di maggior contrasto tra comunisti e democristiani. Nella sua “scuola popolare” don Lorenzo non indottrina ma forma un modo di pensare, attraverso un progetto e una strategia che portano ad una presa di coscienza e, di conseguenza, ad un cambiamento. In tal modo, il futuro priore di Barbiana si attira le critiche di entrambe le parti! A Barbiana non lo manda, come tanti possono pensare, il “famigerato” card. Florit; nel Mugello il sacerdote viene mandato dal card. Elia Dalla Costa, che non gli era ostile. Dalla Costa è un personaggio ben definito e conosciuto a Firenze e oltre: non ha accolto Mussolini e Hitler, ha aiutato la Resistenza.
La Chiesa di Firenze è caratterizzata da personaggi di tutto rilievo: da don Facibeni a La Pira, a Turoldo, Balducci. Almeno nelle intenzioni, il trasferimento non è per “seppellire” là don Lorenzo, ma per dargli un momento di respiro. È risaputo, però, che don Lorenzo, appena trasferito, acquista un pezzo di terra nel locale cimitero per indicare la sua volontà di non essere di passaggio.
Don Lorenzo capisce subito il contesto della sua nuova parrocchia e per superare l’isolamento mette su una scuola per la patente del motorino. Una iniziativa che dice con chiarezza la sua scelta di andare incontro ai bisogni, partendo da quello che interessa ai suoi ragazzi. Ciò che caratterizzerà sempre la sua azione di educatore è la strategia che parte dal motivo occasionale e va al motivo profondo.
Così nasce la diatriba con i cappellani militari: i ragazzi portano a scuola una articolo in cui i cappellani criticano l’obiezione di coscienza e da lì si parte per approfondire il tema della guerra e i dati storici ad essa legati: dal bisogno al curricolo. Contrariamente all’educatore tradizionale, che in genere trasmette il sapere con lezioni frontali, don Milani non pianifica tutto ciò che deve essere fatto a scuola ma preferisce partire da elementi occasionali come il giornale, la cronaca, l’ambiente in cui il ragazzo vive per definire percorsi che portano alla disciplina attraverso un approccio globale.
In tal modo l’allievo diventa protagonista, percepisce il piacere di apprendere schemi logici con i quali, poi, può “aggredire” la realtà e costruire uno schema di vita. Anche la scrittura collettiva, utilizzata in “Lettera a una professoressa”, è basata sulla valorizzazione dei singoli: ogni alunno produce “bigliettini” che, messi assieme su di un tavolo, sono poi scelti e approfonditi in base alla loro coerenza con il tema trattato. Chi fa una ricerca, il giorno dopo la presenta agli altri facendosi insegnante: la scuola ribaltata. Una bella “lezione”, quella impartita da Martinelli, come dimostrato dall’attenzione dei presenti e dagli interventi che ha stimolato in chiusura di serata.